Esodo

Autore

Maria Luisa Bigai
Nata a Nordest, in Friuli, vive a Roma crocevia multietnico del mondo. Viaggia per lavoro e per studio quanto possibile in Italia e all’estero (Roma, Genova, Milano, Palermo, Toronto, New York, Parigi, Norvegia, Cipro, etc). Regista teatrale (Premio Fondi etc) con inclinazione a temi civili, sociali, di genere; e regista di teatro musicale (Mozart, Donizetti, Duni, ma anche Malipiero e altri autori del Novecento). Si occupa di pedagogia nell’ arte e con l’arte in molti ambiti e settori (Ente Teatrale Italiano, ANAD Silvio D' Amico di Roma, Teatro della Pergola di Firenze, Licei e associazioni, Accademia Belle Arti), è docente di ruolo per gli insegnamenti teatrali al conservatorio San Pietro a Majella di Napoli, dove produce molta della sua attuale ricerca. Poesie e saggi brevi in edizioni varie (Scheiwiller, Passigli ed., etc) con riconoscimenti fra i quali Premio Montale per gli inediti, e menzioni speciali al premio Lorenzo Montano di Verona, al premio Poetika di Verbania, al premio Casentino.

Esodo: emigrazione da una regione da parte di popolazione, volontaria o più spesso forzosa, determinata da ragioni politiche, economiche, religiose (dall’Enciclopedia Treccani).

Principale racconto nell’omonimo libro della Bibbia (secondo libro del Pentateuco): Come il popolo degli Ebrei, schiavo degli Egizi, venne liberato da Dio, per mezzo del profeta Mosè. 

Il racconto di un evento unico nel suo genere, riportato con respiro epico, ampio fino alla mitologia, degno del più alto sentimento di rispettoso sgomento, legato al Sacro nella sua più alta accezione, e indiscutibile pena il sacrilegio. 

Racconto di un popolo intero che lascia la terra dove è da tempo stanziato e attraversa il Mar Rosso, Il Deserto, scavalca il Monte Sinai per giungere (e ritornare) a un’altra terra, Promessa, dove si stabilisce. 

Un popolo intero, 600mila uomini (si contavano solo loro, dando per inteso che avessero donne, figli al seguito), un enorme gruppo umano costretto a lasciare la terra straniera, l’Egitto, dove aveva coabitato con la popolazione autoctona.

Secondo tradizione, in epoca remota in Egitto era giunto pacificamente un patriarca (Giuseppe) provenendo dalla Palestina e si era pacificamente moltiplicato fino a dar vita a un intero popolo. Questo però nel giro di qualche generazione, arrivò a costituire un problema per il governo locale che diede il via ad azioni di contenimento di una potenza che iniziava a fare paura: «Ecco che il popolo dei figli di Israele è più numeroso del nostro e più forte di noi. Prendiamo provvedimenti per impedire che aumenti, altrimenti in caso di guerra si unirà ai nostri avversari, combatterà contro di noi e poi partirà dal Paese». Così avrebbe detto un imperatore egizio, che, viene specificato nel documento, non aveva conosciuto Giuseppe.

Al popolo ebraico, come si evince, non si voleva concedere  di lasciare il Paese e ci furono allora le piaghe d’ Egitto e infine una partenza faticosa e sofferta, detta appunto Esodo. 

Questo racconto ha nutrito la mia formazione di bambina, di fanciulla al catechismo, di studentessa che ebbe ottime lezioni di storia religiosa al liceo. Ho visto film (anche il recente Exodus, grande produzione americana) empatizzando con i protagonisti e con dispute familiari sul riconoscimento delle varie piaghe e delle tappe fino a respirare di sollievo quando il mar Rosso si richiude e, infine, quando la Terra Promessa appare all’ orizzonte. 

Recentemente ho ritrovato altre pagine dei miei studi classici

«In pochi a nuoto arrivammo qui sulle vostre spiagge. Ma che razza di uomini è questa? Quale patria permette un costume cosi barbaro, che ci nega perfino l’ospitalità della sabbia; che ci dichiara guerra e ci vieta di posarci sulla vicina terra. Se non nel genere umano e nella fraternità tra le braccia mortali, credete almeno negli Dei memori del giusto e dell’ingiusto» (Virgilio, Eneide, Libro I, 538-543).

Così mi interrogo su una parola, ex odos. In greco tuttora significa uscita e viene utilizzata specificamente in ambito biblico per individuare il destino di un intero popolo. 

Viene poi declinata nell’uso ordinario per definire quel movimento  disordinato  di masse umane che in fuga da città roventi perseguono una meta estiva (una vacanza, che interrompa quel comune destino/condanna di lavoro/stress cui siamo rassegnatamente consacrati); transumanza umana che non accende però alcuna empatia fra chi condivida quella stessa via di fuga, quella stessa fatica, gli ostacoli e le avversità – senza percepire il senso di grottesca parodia con cui si distorce l’uso un termine legato a ben altri scenari. 

Mi chiedo se altri movimenti epocali e forzosi di popolazioni, che per ragioni politiche, economiche, religiose, o un misto delle suddette, si siano dovuto avventurare oltre monti, ghiacciai, terre impervie, mari in tempesta, per cercare una migliore possibilità di vita, una differente modalità, una sopravvivenza, non si possano (non si debbano?) chiamare esodo con margine di raffrontabile dignità. 

Mi chiedo se i Longobardi o altri del Nord Europa che oltrepassarono le Alpi e presero stanza in Italia – popolazioni barbariche verso cui storicamente nutriamo la diffidenza degli autoctoni che si sentirono invasi- ma che hanno poi costituito una vera svolta salubre per un impero romano languente, producendo nuove forme giuridiche, dando forza a poteri centenari (la Chiesa per esempio) producendo nuova linfa umana, nuove ricchezze, nuovi statuti,  non possano essere considerati parte di quelle popolazioni che prendono una via e lasciando le proprie terre natie, si spostino per insopprimibile necessità. 

Mi chiedo se il Vallo di Adriano, strumento che tuttora testimonia una volontà di impedimento contro migrazioni/invasioni di popolazioni nordiche barbariche, sia poi davvero riuscito a fermare (per quanti anni?) movimenti di popolazioni dettati da necessità e urgenze;

Mi chiedo come pormi rispetto a un altro esodo, relativamente e solo recentemente nominato per tale – conseguito alla seconda Guerra mondiale con il forzoso spostamento da terre per secoli veneziane e italiane, dell’Istria e della Dalmazia, delle popolazioni Juliane, costrette a spostarsi a occidente per non essere sterminate;

Mi chiedo come definire queste ondate di esseri umani che provengono da un continente che effettivamente è grande come Europa America Cina messe assieme, ed è coltivabile al 60%, nonché ricchissimo di risorse minerarie, vegetali, faunistiche, ma dal quale si deve fuggire perché in preda a un ordine di orrore- al quale i Paesi occidentali, è cosa nota, partecipano tra l’altro in forme variegate.. 

Popolazioni intere in movimento: sembrano arrivare come uno stillicidio, sequela di singoli episodi disgiunti – come così vengono tendenzialmente raccontate – ma sono in maniera sempre più evidente un movimento epocale.. 

Questa migrazione in “fuga da” e “speranzosa verso” non sfiora la dimensione e la tragicità di un esodo? 

Per tornare ai miei amati classici,  questi versi dell’Eneide appena ritrovati aprono una prospettiva stimolante su vicende che forse sono accadute solo in un mito di fondazione, ma comunque, seppure miticamente, restituiscono l’origine di Roma all’arrivo di un barcone di profughi, che era di nobile lignaggio e alti natali, si, ma in fuga da una città distrutta da una guerra sulle coste della attuale Turchia, non così distante dal Mar Nero.. Fantasia di un poeta, certo, ma l’ immagine non è meno cruciale. 

E a questo punto mi chiedo, cosa sia stato effettivamente quel movimento – questo si storicamente accertato- di popolazioni che dalle coste della Lidia (attuale Turchia) sempre spostandosi su barconi, approdarono sulle sponde dell’Italia meridionale? Fuggivano da invasioni da oriente, o erano spinte da altre necessità a lasciare le proprie terre natie? Comunque emigrazione forzosa in cerca di terre e occasioni per una nuova, migliore esistenza, sopravvivenza, sussistenza (e in alcuni testi troviamo che anche per loro le terre furono promesse da Dei). 

Per radicarsi fecero anche guerre tremende sia fra loro che contro le popolazioni indigene, e però fondarono alcune di quelle che ora chiamiamo splendide città, sedi imperdibili di preziosi resti archeologici che ci nobilitano con radici storiche di cui ira ci facciamo vanto. Oggi li chiamiamo Magna Grecia. Hanno fondato in maniera radicale il nostro pensiero occidentale, la nostra filosofia, la declinazione del ragionamento. Ma in partenza non fu anche questo un ex odos

Cogli occhi spenti, con lo guancie cave,
Pallidi, in atto addolorato e grave,
Pallidi, in atto addolorato e grave,
Sorreggendo le donne affrante e smorte,
Ascendono la nave
Come s’ascende il palco de la morte.
E ognun sul petto trepido si serra
Tutto quel che possiede su la terra.
Altri un misero involto, altri un patito
Bimbo, che gli s’afferra
Al collo, dalle immense acque atterrito.
Salgono in lunga fila, umili e muti,
E sopra i volti appar bruni e sparuti
Umido ancora il desolato affanno
Degli estremi saluti
Dati ai monti che più non rivedranno.
[…] 

Edmondo De Amicis, Emigranti

1 commento

  1. Con parole semplici è tratteggiato l’ intreccio culturale e umano che ci costringe ad alzare lo sguardo e riflettere sui Destini delle genti e la Storia dell’umanità. Parole di cui tutti abbiamo bisogno

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