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Esodare/Esondare in arte

Autore

Lavinia Mainardi
Laureata in filosofia con una tesi in estetica nell'anno 1994 presso l'Università degli studi di Bologna, Lavinia è una curiosa, ambientalista, studiosa di estetica e di filosofia del paesaggio, semiotica, iconologia, iconografia e visual studies

Scrive Luciano Anceschi a Toti Scialoja nella Lettera per un incontro napoletano, datata 1994: «Tu sei pittore e poeta. Non so quale ammirare di più. Ci sono cose della tua pittura che mi toccano profondamente in un territorio molto sottile e quasi invisibile; e c’è ora questo scoppio di vitalità e di invenzione che prende chi legge i tuoi quadri, con forza giovanissima. Il colore della tua pittura ha lo stesso ordine di intelligenza delle parole nella tua poesia? Il discorso ci porterebbe lontano».

Ecco, l’impressione più forte dopo aver letto le più di cento voci – ordinate in rigorosa progressione alfabetica – che compongono il volume antologico Scialoja A/Z, appena uscito per i tipi di Electa sotto l’attenta regia di Eloisa Morra, è di essere ormai sufficientemente “lontano” per cogliere in toto la flagranza pienamente novecentesca di quell’“ut pictura poesis” declinato in prassi del “doppio talento”, tutto vissuto, sperimentato, scritto ed intinto nelle contraddizioni di quel secolo così inquieto e trepidante di aspettative anche per il nostro ancora ristretto milieu culturale, che dalla provincia, si proiettava – non senza fatica – verso un orizzonte internazionale  in una mai del tutto risolta  tensione fra idealismo e materialismo.

Eloisa Morra, associate professor di Letteratura Italiana all’università di Toronto, da tempo frequenta l’eclettico- “caleidoscopico” ci suggerisce Lei –  percorso di Toti Scialoja. 

Poeta, pittore, critico, scenografo, docente, autore, illustratore, sembra quasi il suo proteiforme talento debba riassumere tutte le direttrici che si sono dipartite da quel laboratorio che fu il nostro secolo breve, con la consapevolezza che comprendiamo solo ora – a posteriori – di poterlo attraversare per poi  accomiatarsene avendone spremuto ogni goccia.

Un respiro nuovo ed una  consapevolezza che, sopite le diatribe, spente le più o meno piccole querelles, le animose rivalità, gli scontri anche feroci che resero quegli anni così pregni e vivaci, è anche il fil-rouge della ricerca di Eloísa Morra. 

Ricerca che, come nei precedenti Paesaggi di parole e nell’accurata biografia Un allegro fischiettare, sembra seguire la categoria retorica dell’ εκφρασις,  in quell’urgenza di dipingere anche per parlare e scrivere  di pittura, pratica che Scialoja dalla primavera del 1954 fino alla morte avvenuta  nel 1998 – con puntigliosa regolarità per dieci anni – esercitò nel  diaristico Giornale di pittura. Nota  Maria De Vivo, fra i trenta curatori del volume antologico: «al centro c’è la sua vita da pittore e per la pittura», una corrispondenza che rende «queste pagine una fonte speciale sia per osservare gli attesi mutamenti e la rifondazione meditata del suo linguaggio che per analizzare le fonti dell’esperienza moderna», perché Toti Scialoja si autocompiace dell’incomprensione dettata dalla sua così nuova multidisciplinarietà»: «la mia disgrazia in Italia – scrive – deriva da questo: che io sono moderno».

E la modernità Scialoja la vive pienamente, a volte penetrandola a volte sfiorandola soltanto, ma  sempre armato di quella leggerezza che gli permette di non farsene travolgere, rifuggendo  da qualsiasi altra ambizione che non sia la sua effervescente, tentacolare, instancabile, felice curiositas .

Se filosoficamente l’apprendistato  crociano – sotto l’egida fra gli altri  di Cesare Brandi – si evolverà in un atteggiamento fenomenológico husserliano, soprattutto dopo la frequenza dei corsi parigini di Maurice Merlau-Ponty, in letteratura saranno  invece molti i “destini sfiorati”: con Calvino, Moravia, Pasolini, Flaiano (come non trovare lo stesso orizzonte, pur nella differenza di intenti,  fra Scialoja A/Z e il recentissimo Diario di un’estate marziana di Tommaso Pincio?), Gadda (e qui la parentela è con il Gaddabolario del 2022), Elsa Morante, con cui progettò la mai realizzata «Rivista bianca», Manganelli.  Le amicizie intellettuali, da Libero de Libero «dopo Trilussa (caro amico della madre Ada Persico) suo primo mentore» che gli apre le porte della galleria “La Cometa” di Mimì Pecci Blunt e della “Scuola romana” degli Afro, Mario Mafai, Scipione, Corrado Cagli, tutti accomunati dalla forte componente espressionista che impronterà le sue prime prove pittoriche. 

La biblioteca, dagli scaffali rosso vermiglio, dell’abitazione di Santa Maria in Monicelli nel Rione Regola, dove trova posto la costellazione dei suoi referenti: dal Pascoli fonosimbolico ispiratore e potenziatore del gusto mai abbandonato per la filastrocca e il limerick, all’amato Leopardi, i simbolisti francesi,  in primis Mallarmé, i cataloghi d’arte, Stevenson, Salgari.

E poi la  sua personale geografia fra una Roma che contamina con l’entusiasmo della liberazione il clima intellettuale del dopoguerra, la vacanziera Procida, Parigi dove soggiorna a lungo e New York il cui genius  loci saprà plasmare la sua pittura.

Le riviste dal «Selvaggio» di Maccari al «Meridiano di Roma», in cui  emerge il suo lato più lunare ed umbratile, al limite del gotico fra echi di Tommaso Landolfi e di  Bruno Barilli, al «Mercurio» di Alba de Céspedes.

 Al costante rifiuto del dominante realismo, dell’arte più engagée alla Guttuso , colpevole di un dogmatismo rigido e implosivo, dovremo le prime aperture alle novità europee, sfociate nel 1954 nelle prime prove di astrattismo, manifestazione del “sentimento esatto del proprio tempo”.

Sarà tuttavia attraverso la mediazione della compagna Gabriella Drudi, che a Scialoja si aprirà la “scena statunitense”, praticata nei due viaggi a New York del 1956 e del 1960, portando a completa maturazione la sua pittura. 

Si snoda così un itinerario che da Paul Klee va a Dubuffet e che, sotto l’impalcatura critica di Harold Rosenberg, fa diretta conoscenza dell’action painting di Pollock e delle esperienze di de Kooning, Rothko, Kline, Arshile Gorky, Jasper Jones, Rauschemberg, modificando definitivamente il suo fare arte.

Nasceranno così le “impronte”, «cifra – scrive Laura Iamurri – della maturità stilistica… frutto di un processo di allontanamento dalle materie e dagli strumenti tradizionali della pittura, iniziato dalle conversazioni con Alberto Burri»,  proseguito con «una sempre più libera scelta nei materiali, nella disposizione del colore nella tela, nella modalità di esecuzione… una gestualità sempre più ampia in parallelo con la ricerca sui materiali».

 La scoperta sulle altre  del vinavil mescolato a terre, sabbia, applicato con uno straccio in un procedimento di “stampaggio” in un’inesausta dialettica fra caos e caso fra matrice e quiddità.

Verranno anni meno intensi in cui Scialoja tangerà il cinema e la televisione, coltiverà le sue doti di illustratore in un diffuso clima di revival della fiaba, con un’attenzione al mondo dell’infanzia che gli ricorda le letture del Corriere dei Piccoli di Tofano e le immagini dell’adorato Rubino: con passo lieve saprà districarsi fra Carrol e Calvino fra il non-sense e un’immaginifica zoologia. Non mancherà neppure l’appuntamento con il Teatro dove sarà scenografo e costumista impregnandosi di mille suggestioni.

Come ci ricorda Eloisa Morra il percorso di Toti Scialoja somiglia ad un funambolismo in precaria sospensione fra classicismo e barbarie e noi guardando in distanza le sue acrobazie senza più palpitazioni, sapremo di aver lasciato quel Novecento con tutte le sue prismatiche contraddizioni .

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1 commento

  1. Ottima introduzione per un approfondimento teorico-artistico e non solo.
    Belle tutte le varie compenetrazioni ed accostamenti.
    Complimenti

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