Sono tornato al Kunsthistorisches Museum di Vienna e ho rivisto Giochi di bambini (1560) di Bruegel il Vecchio. In esso si possono osservare tutti i tipi di gioco. Molti di essi sono quelli a cui ancora oggi i bambini si applicano esercitando la finzione come pratica di verità. Finzione viene da fingo, plasmo, formo, creo. Imitare non è copiare, ma rappresentare qualcosa riproducendolo creativamente. Il gioco implica, come affermava Giambattista Vico, imitazione, fantasia, memoria. Non è una prerogativa degli umani.
Due gattini e i mondi intermedi
Due gattini, giocando al combattimento, si mordicchiano a vicenda, imitano cioè il mordere. Un mordere dunque che non è un mordere: è un mordicchiare, ovvero un atto che acquista senso e diventa regola dentro il contesto del “facciamo finta che questo sia un combattimento”. Vi è un accordo tra i due animali, un patto o, come la chiama Gregory Bateson, una meta-comunicazione necessaria per costruire quella cornice che racchiude un’interazione, una relazione tra due esseri che comunicano e fanno sì che dentro di essa il gioco è un gioco dove si finge di mordere o graffiare. I gattini creano un nuovo mondo proprio mentre imitano quello vecchio. È un mondo intermedio. Esso sta in bilico tra il futuro e il passato. Nel nuovo si mordicchia, nel vecchio si morde. Il mordicchiare presuppone il mordere ma lo trasforma senza cancellarlo. Perché ciò accada, è necessario che vi sia un accordo consapevole tra i due gattini, un accordo che comporta delle regole da seguire. Se non lo si fa, l’accordo salta e il gioco cessa di essere. Se un gattino morde invece di mordicchiare nega il senso metaforico della sua azione. I due gattini, inoltre, fanno emergere un’idea di libertà basata sul senso del limite e sul rispetto delle regole. Essa si oppone all’individualismo possessivo, e, in termini hegeliani, si basa sul riconoscimento dell’altro e sul primato della relazione. I due gattini praticano Hegel assai meglio di molti filosofi.
La bambina che gioca con la bambola
Il gioco è un addestramento a entrare e uscire dai contesti. Una bambina che tiene in braccio una bambola si figura come madre, ben sapendo però di non essere una madre e di tenere in braccio un oggetto. Essa appartiene consapevolmente a due mondi, quello da imitare e quello che sta imitando. Ha una lucida coscienza del passaggio tra i due mondi. Imitazione e creatività non sono opposte. La bambina appartiene ai due mondi emotivamente e cognitivamente, è creativa nel modo in cui tratta la bambola ma allo stesso tempo imita la madre. Un mondo intermedio è quel mondo che si forma creativamente pur dipendendo nello stesso tempo da mondi già conosciuti. Gli esseri umani, così come i gattini e i bambini, non possono creare dal nulla, ma sempre da qualcosa. Questo vale per il gioco, ma anche per l’arte e per la scienza.
Winnicott e Tagore: i bambini giocano
Secondo Winnicott il punto di vista del bambino è diverso da quello della madre e da quello dell’osservatore: “ci potrebbe essere un punto di vista non complesso da parte del bambino, un punto di vista differente da quello della madre e dell’osservatore”.
Per Winnicott il gioco è in quel momento in cui il bambino è bambino, qualcosa di diverso dalla sua realtà interna, così come dalla sua realtà esterna: “il gioco non è di fatto una questione di realtà interna, e neppure una questione di realtà esterna”
Ma dov’è allora il gioco? Esso si trova nello spazio comune tra bambino e madre, in uno spazio dove unione e separazione tra bambino e madre coesistono, uno spazio comune dove il rapporto madre-bambino è costruito su una «separazione che non è una separazione ma una forma di unione».
È in tale spazio che emerge l’oggetto transizionale, cioè nello spazio comune in cui separazione e unione coesistono e caratterizzano la terza area che mette in relazione bambino e madre. L’oggetto transizionale determina la differenza tra il sé e il non-sé.
«È nel luogo, in termini di spazio e tempo, in cui la madre è in transizione dall’essere, nella mente del bambino, fusa col bambino, all’essere per contro vissuta come un oggetto che viene percepito piuttosto che concepito. L’uso di un oggetto simbolizza l’unione delle due cose ora separate, il bambino e la madre, appunto, in termini di spazio e di tempo, in cui ha inizio il loro stato di separazione».
Winnicott sta descrivendo, a mio parere, la nascita di un mondo intermedio, che egli chiama terza area, qualcosa che unisce e separa nello stesso tempo, una relazione che acquista la forza della propria autonomia. La relazione tra madre e bambino diventa un mondo caratterizzato dal gioco e l’oggetto transizionale è il sostituto che rappresenta il passaggio verso il mondo intermedio.
Winnicott cita Tagore (Gitanjali 60) sui bambini che si incontrano in spiagge senza fine, fanno castelli con la sabbia e giocano con le conchiglie vuote, costruiscono barchette con le foglie secche e le fanno navigare. Immaginano mondi imitando altri mondi e fantasticando su di essi. I castelli sono di sabbia e le conchiglie vuote diventano cose e uomini, le barche di foglie veleggiano. I mondi degli adulti si nutrono di fantasia liberandosi della loro utilità e diventano come le sedie di Baudelaire, che, messe in fila, assumono nella mente dei bambini le attraenti sembianze di una diligenza in corsa per le strade sterrate del mondo tra foreste e praterie: «…la diligenza, l’eterno dramma della diligenza recitato con delle sedie: la diligenza sedia, cavalli-sedie, viaggiatori-sedie; soltanto il postiglione è vivo! L’attacco [dei cavalli] resta immobile, e tuttavia divora con una bruciante rapidità degli spazi finti. Che semplicità nella messa in scena!».
Baudelaire parla di messa in scena da parte dei bambini e la ritiene superiore per semplicità a un teatro che uccide l’immaginazione a causa di un eccesso di apparati scenici. La semplicità ammirata da Baudelaire è quella di Shakespeare che ci fa sostituire con la mente ciò che la vista non ci può dare, facendo sì che noi la vediamo non con gli occhi ma con le parole. Ma prima della parola vi è l’atto sostitutivo della mente che con la sabbia fa un castello e con le foglie secche una barca.
Questa è l’essenza dell’imitare che non è copiare o duplicare, ma costruire un mondo dove la somiglianza con il mondo da cui ha origine si veste creativamente della differenza.