L’inizio di un nuovo qualsiasi evento significativo scandisce, nelle nostre vite, un momento carico di aspettative e di riflessioni. Tutto è condizionato e governato dall’aspettativa. Contiamo le ore, i minuti e poi perfino i secondi in attesa di quell’istante, di quell’inizio. L’attesa fa quindi parte della nostra vita quotidiana, così presente che non sempre si vede il senso di coglierne l’importanza.
Ho cominciato a capire davvero cosa volesse dire attesa quando la più grande App di messaggistica ha introdotto le spunte blu. Se non sapete cosa sono, vuol dire che non usate WhatsApp. L’importante non è scrivere un messaggio, ma ricevere una risposta. E sapere che l’altra persona ha visualizzato e non risposto può essere un’arma da giocarsi nel bene e nel male, anzi nel male soprattutto.
Questa doppia spunta blu, infatti, ha fatto molto discutere. Lo psicoterapeuta Sergio Stagnitta, responsabile dell’area blog e blogger dell’Ordine degli Psicologi del Lazio, sul suo sito ha scritto un interessante articolo sulle ripercussioni psicologiche delle notifiche di lettura di WhatsApp.
Ma quando esattamente l’attesa diventa ossessione?
“Ehi ciao”
“Scusa ti ho scritto e salutato, mi rispondi?”
“Ma che fai? Visualizzi e non rispondi?”
“Rispondiiiii”
“Dai”
“Tanto so dove abiti”
Fra le tracce della tipologia C della Prima prova agli esami di Maturità c’era il testo di Marco Belpoliti, “Elogio dell’attesa nell’era di Whatsapp”, attuale ed utile a comprendere tanti dei problemi del nostro tempo. Nel suo articolo dal titolo, pubblicato il 30 gennaio 2018 dal quotidiano La Repubblica, Belpoliti parte da un assunto incontrovertibile: “C’è un tempo per ogni cosa, e non è mai un tempo immediato”. E subito dopo si pone – e ci pone – un interrogativo: oggi, nell’era di WhatsApp, del botta e risposta, “chi ha tempo di attendere e di sopportare la noia?”.
Ecco forse in questa era digitale che sembra toglierci tutto, decidere di togliere le spunte blu è segno di riappropriarsi della propria volontà e tempo di risposta. E forse dovremmo imparare ad attendere ed accettare i tempi e le risposte altrui. E forse in questo contesto storico che stiamo vivendo, dovremmo dire a noi stessi che “c’è tempo per attendere”.
Pensiamo a tutti gli autori che hanno fatto dell’attesa il punto chiave della loro opera come ad esempio “Aspettando Godot” di Samuel Beckett e “Alla ricerca del tempo perduto” di Marcel Proust. Molto interessante inoltre come viene presentata l’attesa nell’era digitale nel libro Faire attendre di Sylvie Nguyen et Gabriel Avedikian, Designer UX/UI, dove l’attesa è definita come una “cosa” che interviene costantemente nella nostra quotidianità. Nello specifico, nel capitolo tre viene scritto che L’attesa è di fatto una pausa nella progressione delle azioni, un momento sospeso, un momento di sospensione… persino una tensione che si manifesta in attesa di una risoluzione.
Fonti
La psicologia di Whatsapp e la cultura del sospetto di Sergio Stagnitta (2014)
Elogio dell’attesa nell’era di WhatsApp di Marco Belpoliti (2018) consultabile su:https://www.repubblica.it/commenti/2018/01/30/news/whatsapp_tempo_attesa-300950205/