Nove Secondi

Autore

Aurora Martinelli
Aurora Martinelli, nata nel 1998, dopo gli studi classici ha conseguito una Laurea Triennale in Storia presso l’Università degli Studi di Padova con una tesi dal titolo “La lunga liberazione. La questione della specificità femminile nelle esperienze post Olocausto” con la professoressa Enrica Asquer. Contenta, ma non abbastanza, ha conseguito un'altra laurea in Graphic Design presso la LABA di Rovereto con una tesi di progetto dal titolo "Sfumature. Interazione tra podcast e comunicazione visiva in un progetto di divulgazione storica" col prof. Matteo Carboni. Mossa dal desiderio di unire l'anima storica e quella grafica e lavorare nel campo della comunicazione culturale, attualmente si muove tra Trento, dove collabora con la Fondazione Trentina Alcide De Gasperi e con lo Studio di Davide Dorigatti, e Bologna, dove lavora per Un Altro Studio.

Sento che mi tocca, e so cosa devo fare. Parto subito. Uno. Non mi sono nemmeno accorta di come si sia avvicinato. Certo, stava ballando dietro di me, ma c’era altra gente in mezzo, sono confusa. Due. Forse ho bevuto più del dovuto, mi gira la testa. Nel mio bicchiere, solo il ghiaccio. Avessi avanzato un po’ di alcool, forse avrei avuto più chance di essere assolta. Avrei portato in tribunale il bicchiere pieno, con la cannuccia rosicchiata e i segni del rossetto – cazzo no, il rossetto avrei fatto meglio a toglierlo – per urlare che non avevo bevuto. Tre. Sta infilando la mano sotto la gonna. La gonna! Con dita isteriche mordo l’orlo dal davanti e lo spingo giù il più possibile. C’è qualcuno attorno a me che filma la serata col telefono, forse sono ancora in tempo a far sembrare la mia gonna più lunga di quello che è. Quattro. È definitivamente entrato sotto la stoffa. Sento che si aggira tra i rilievi del bordo di pizzo della mia biancheria e sbianco pure io. Il pizzo è una prova schiacciante contro di me, è il punto su cui so per certo che non riuscirò a difendermi. Cinque. Mi fermo. Stavo ancora ballando, e non va bene. Se continuassi, si potrebbe dire che mi stavo divertendo e che mi piaceva. Che stavo ballando con lui o magari per lui. Mi fermo, ma lui continua. Si avvicina ancora, sento tutto il suo corpo spalmato addosso alla mia schiena. Mi concentro sulla musica. Tonight, I want all of you tonight / Give me everything tonight / For all we know we might not get tomorrow / Let’s do it tonight. Quanta ironia, la sorte. Sei. Mentre la sua mano armeggia, con la mia cerco la borsa per prendere il telefono, ma la borsa non c’è. Percepivo la tracolla sulla spalla come un arto fantasma, e invece l’ho lasciata nel guardaroba. Come ho potuto essere così stupida da separarmi dal telefono? Sento già le sentenze dei giudici e dei social: non aveva con sé il telefono, evidentemente si sentiva al sicuro. Non era in una situazione di pericolo. Sette. Le stesse voci mi chiedono perché non mi divincolo. Perché non ti giri e gli tiri uno schiaffo? Perché non chiami qualcuno? Ah, sei da sola. Hai lasciato che la tua amica si allontanasse con un’altra persona? Allora te la sei proprio cercata. Otto. Perché dovrei divincolarmi? Sono passati solo otto secondi, non è niente. Me lo avete insegnato voi. Me lo avete insegnato voi che la cosa più giusta da fare è aspettare, perché fino ad adesso è una goliardata, uno scherzo. Qualcosa che mi sono cercata e che in fondo mi può anche piacere. E quindi aspettiamo prima di allarmarci, vediamo che cosa succede. Vediamo quanto tempo passa. Io lo sto contando apposta. Ma lui? Nove. Indugia ancora un po’, sospira, si avvicina con la testa. Mi morde il lobo di un orecchio e poi si stacca, improvvisamente, come se un’esplosione lo allontanasse di colpo da me. Viene catapultato indietro e torna a dimenarsi al ritmo del suo gruppo di amici senza aver mai staccato l’altra mano dal suo bicchiere. Vuoto, come il mio. Nove secondi. Non è successo niente.

A inizio luglio un collaboratore scolastico accusato di violenza sessuale per aver toccato le parti intime di una studentessa è stato assolto dal tribunale di Roma. Secondo i giudici, l’atto non può essere considerato molestia perché durato solo “una manciata di secondi”. Questo pezzo si ispira a questa vicenda. 

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