La parola rivolta evoca barricate, ribellione, liberazione, rottura con l’ordine costituito. Paragonata alla parola rivoluzione ha lo sguardo rivolto al presente più che al futuro. Rispetto al presente rivolta condivide con rivoluzione la critica e il rifiuto, ma è più immediata, più episodica. Ugualmente collettiva ma non direttamente progettuale. La storia, la letteratura, il cinema sono pieni di rivolte reali, ispirate o immaginate. Fra quelle immaginate ve ne è una che si trova al confine tra il realismo e il fantastico. È la rivolta dei barboni nel film di Vittorio De Sica e Cesare Zavattini, Miracolo a Milano. È una rivolta pacifica contro la violenza del ricco Mobic il quale, volendoli cacciare dal campo dove stavano e che lui aveva comprato perché sapeva che sotto c’era il petrolio, ordina alle guardie prima di lanciare le bombe lacrimogene poi di sparare. Ma Totò, il protagonista, trovato da Lolotta sotto un cavolo e poi, dopo la morte di quest’ultima, cresciuto nell’orfanotrofio, grazie alla colomba miracolosa donatagli dalla madre sfuggita agli angeli che la dovevano portare in cielo, ferma l’ordine di sparare trasformando la voce del comandante in un canto. Grazie alla colomba miracolosa, la rivolta di Totò il buono e di tutti gli altri barboni (oggi, più educatamente e più ipocritamente, diremmo homeless) è pacifica, ma resta ferma e decisa. Poi sappiamo come va a finire. Dopo che la polizia, alla fine, li ha presi e li ha messi nei cellulari, fatti allora (siamo nel 1950) da carrozze chiuse con le sbarre e trainate dai cavalli, la colomba che Lolotta ha recuperata e data a Totò fa cadere le pareti delle carrozze e tutti, a piazza Duomo, strappano ai netturbini le scope e, cavalcatele, si alzano da terra e volano in cielo. La scena ispirò Spielberg nel film ET, ma questa volta i protagonisti del volo sono i ragazzi con le loro biciclette. Il film, come il racconto per ragazzi che Cesare Zavattini sviluppò a partire da un soggetto cinematografico che aveva scritto insieme al grande Totò, finisce con la fuga verso un regno dove: “buon giorno vuol dire veramente buon giorno” (C. Zavattini, Totò il buono, Bompiani, Milano 2021). La rivolta dunque si traduce non in una rivoluzione ma in una fuga. Il mondo utopico da raggiungere deve essere senza ipocrisia e imbrogli. “buon giorno vuol dire veramente buon giorno” non è un richiamo alla letteralità delle parole, bensì un bisogno di scoprire la profondità nella superficie, così come aveva suggerito Hugo von Hofmannsthal in uno dei suoi aforismi: “La profondità va nascosta. Dove? Alla superficie” (H. von Hofmannsthal, Il libro degli amici, Adelphi, Milano 1980, p. 56). È infatti nella superficie che sono nascoste le diseguaglianze e la povertà. E sono nascoste lì perché non le vediamo proprio mentre le guardiamo. De Sica e Zavattini ebbero il coraggio di metterle a nudo con Sciuscià, Ladri di biciclette, Umberto D, Miracolo a Milano. In tutti questi film le diseguaglianze sociali sono al centro con i bambini, i disoccupati, i pensionati, i poveri. E oggi? Le diseguaglianze sociali e la povertà sono scomparse? Davvero? Al tempo di quei film, nel dopoguerra il pubblico preferiva le commedie americane. Alla maggior parte delle persone non faceva piacere vedere la miseria anche se i protagonisti di quei film non perdono mai la dignità. Oggi nella maggior parte dei film italiani i protagonisti e delle protagoniste sono benestanti metropolitane/i alle prese con il loro io e il loro narcisismo, insoddisfatte/i, indecise/i, involontariamente arroganti nella loro insicurezza, ma, di solito politicamente corrette/i. Allora la rivolta fu resa fantasmagorica in un gioco tra il realismo dei personaggi e l’immaginario del racconto, tra lo squallore della terra e la bellezza del cielo, tra l’infelicità del presente e la speranza nel futuro; oggi le storie narrate vivono del e nel presente, senza un futuro, tra il cemento e il traffico in terra e l’offuscamento e l’inquinamento del cielo. La rivolta, ho affermato all’inizio, ha più a che fare con il presente, ma la dimensione fantastica in Miracolo a Milano la collega al futuro, annunciando le molte lotte operaie e contadine che vi sarebbero state negli anni successivi contro le diseguaglianze e la povertà. Il ripiegamento sul presente nell’oggi più o meno fintamente ricco e realmente infelice ci segnala invece, spesso involontariamente, che non c’è un domani da cercare, che ribellarsi è faticoso e inutile, che ai poveri e ai diseguali non viene più riconosciuta la dignità. Forse perché essa, che caratterizzava i personaggi di quei film, non è più rilevante né riconoscibile. Strano! In un mondo in cui si invoca il rispetto per la persona e si teorizza la cura di sé e dell’altro, scompare ciò che dà valore al senso dell’autonomia e della relazione, la dignità appunto. Spesso le rivolte sono state e sono lotte collettive e individuali per la propria dignità.