Ho avuto il dono di conoscere di persona don Lorenzo Milani o meglio di averlo incontrato una volta e di avere passato a Barbiana un pomeriggio, nel 1965. L’incontro ha lasciato in me una traccia, resa più profonda e duratura, con la lettura empatica, lo stesso anno, di L’obbedienza non è più una virtù, e, nel 1967, nel mio primo anno d’università di Lettera a una professoressa, prima che diventasse un bestseller, nonostante fosse stato pubblicato da una piccola casa editrice fiorentina, e che divenisse rapidamente anche un manifesto politico-pedagogico.
Ero studente liceale, frequentavo il Liceo Virgilio, nel cuore di Roma, con Andrea Riccardi e Matteo Zuppi compagni di scuola. Dopo le scuole medie in Sardegna avevo superato il difficile concorso di ammissione per il collegio Villa Nazareth, innovativa istituzione formativa che ospitava a titolo gratuito ragazzi di famiglie povere, con ottimali percorsi scolastici, fino al compimento degli studi. Era stata creata, nel dopoguerra, dal cardinale Domenico Tardini, straordinaria figura ecclesiastica, che nei pontificati di Pio XI e di Pio XII aveva diretto in Segreteria di Stato la politica internazionale della Santa Sede e, successivamente, era stato nominato segretario di Stato da Giovanni XXIII.
Dopo la sua scomparsa, nel 1961,Villa Nazareth era diretta dal giovane mons. Achille Silvestrini, già in servizio nella Segreteria di Stato, colto e sensibile e quanto mai partecipe del rinnovamento del Concilio Vaticano Secondo, della cui Commissione antipreparatoria Tardini era stato presidente. Anche noi studenti fummo coinvolti nelle grandi discussioni che lo animarono e partecipi delle speranze e degli entusiasmi che generarono i documenti via via approvati. Per ragioni d’età non avevamo sofferto le chiusure e le paure del tardo pontificato di Papa Pacelli.
Anche per la nostra estrazione popolare, sull’onda del rinnovamento conciliare condividemmo e praticammo una forte proiezione esterna nel sociale in tre direzioni: iniziative per lo sviluppo del Terzo mondo e a sostegno delle lotte di liberazione; campagne contro la guerra e a favore dell’obiezione di coscienza; azioni e interventi per il diritto allo studio e contro la selezione classista.
Io nel pomeriggio aiutavo a fare i compiti a due bambini che frequentavano la scuola media di una famiglia di immigrati sardi, che abitavano nel vicino quartiere popolare di Primavalle. Pativano problemi d’inserimento e avevano anche non poche difficoltà con l’italiano, parlando in casa il sardo. Una famiglia molto povera, col padre disoccupato, alla quale da Villa Nazareth portavamo anche dei generi alimentari. Ci chiedevano sempre anche del lardo ed io dovetti spiegare, di fronte a questa richiesta che sembrava strana, che nei paesi di montagna della Sardegna dell’interno, dalla quale anch’io provenivo, non si usava l’olio d’oliva ma, appunto, il lardo e lo strutto.
A Villa Nazareth negli anni del Concilio vennero per illustrarne le dinamiche, invitati da mons. Achille Silvestrini, diversi padri conciliari e noi ci si vantava che proprio in un salone di Villa Nazareth il cardinale Tardini aveva tenuto la conferenza stampa internazionale per illustrarne finalità e novità. Negli anni immediatamente successivi avemmo come ospiti personalità ecclesiastiche più convintamente impegnati nella sua attuazione. Tra queste, padre Ernesto Balducci, che, com’è noto, dal 1959 al 1966, era stato allontanato da Firenze dal potente vescovo coadiutore, mons. Ermenegildo Florit, a causa soprattutto per le sue simpatie per la nouvelle theologie francese e, ancor più per la sua condivisione delle iniziative di Giorgio La Pira sui temi della pace e della giustizia sociale. Nel suo esilio a Roma padre Balducci viveva, nel quartiere di Montemario, non lontano da Villa Nazareth.
Fu lui a regalarmi una copia di L’obbedienza non è più una virtù, con la sua semplicissima copertina che recava oltre al titolo anche la scritta, Documenti del processo di don Milani. Conteneva, infatti, il comunicato stampa pubblicato su La Nazione il 12 febbraio 1965 contenente una mozione dei cappellani militari in congedo della Toscana; la Lettera ai cappellani militari, scritta da don Milani e dai ragazzi della scuola di Barbiana e la Lettera ai giudici, ossia il memoriale difensivo scritto da don Milani in occasione della prima udienza (quella del 30 ottobre 1965) del processo a lui intentato a seguito di una denuncia sporta contro di lui da alcuni ex combattenti per quanto scritto nella Lettera ai cappellani militari. Un’efficacissima difesa, civile e cristiana, dell’obiezione di coscienza e, più in generale, del valore della pace.
Occorre ricordare che anche padre Balducci nei due anni precedenti fu denunciato e condannato per il suo sostegno dell’obiezione di coscienza. In un’intervista pubblicata il 13 gennaio 1963 su “Il Giornale del Mattino” aveva criticato la sentenza di condanna di Giuseppe Gozzini, primo obiettore cattolico in Italia, sostenendo che la patria non era un concetto sacrale e che, per motivi di coscienza, si poteva e si doveva anche disobbedire.
Fu proprio Padre Balducci a propormi di andare con lui in visita a Barbiana. Don Lorenzo, come mi era stato consigliato di chiamarlo, non fu particolarmente accogliente, anzi mi parve quasi scorbutico e lasciai sicuramente percepire il mio disagio e la mia sofferenza. Padre Balducci percepì immediatamente i miei sentimenti e disse subito a don Milani che se anche provenivo da Roma ed ero uno studente liceale, ero, per estrazione sociale, simile ai suoi ragazzi e che solo grazie a Villa Nazareth potevo studiare. Aggiunse subito dopo che ero sardo di una famiglia povera, di sette figli, con il padre pastore. Poi con un’aggiunta geniale gli disse: «Carlo ha due cugini che da poco con il loro gregge si sono trasferiti dalla Sardegna, proprio qui vicino, nelle colline di Dicomano, che forse anche tu conosci». Cambiò immediatamente il clima. Sorrise, mi diede un colpetto sulla spalla, dicendomi: «Torna quando vuoi e, la prossima volta, vieni con i tuoi cugini, portando delle fuscelle di ricotta, perché voi sardi la sapete fare bene».
Tornato a Roma, mi misi a leggere con impegno l’unico libro pubblicato con il suo nome, nel 1954, Esperienze pastorali, che era stato portato a Villa Nazareth da un altro straordinario sacerdote, don Silvano Burgalassi, anche lui toscano e anche lui permeato dello spirito conciliare. Don Burgalassi sosteneva che il pioniere della sociologia religiosa in Italia era stato proprio don Milani con il suo Esperienze pastorali. Un libro che disegna anche un affresco dell’inizio della fine della mezzadria che per secoli aveva caratterizzato il paesaggio agrario e umano delle regioni dell’Italia centrale. La discesa a valle dei mezzadri e l’abbandono dei poderi e anche dei casali aveva reso possibile l’arrivo di tanti pastori sardi, con i loro greggi e la loro raffinata, secolare cultura dell’allevamento, nonché dell’arte casearia.
I miei due cugini, pastori prima a Ollolai, nel cuore della Sardegna e, poi dopo una lunga e faticosa transumanza – tramuda si dice in lingua sarda – ne sono un esempio emblematico. Tanto più che il più giovane di loro ha sposato una ragazza di una famiglia contadina lucana, chiamata dal paese per provare a sostituire il precedente mezzadro toscano. Ma la crisi della mezzadria era ormai irreversibile.
Un mio amico e collega dell’Università Roma Tre, Roberto Cipriani, autorità internazionale nel campo della sociologia della religione, così l’ha ricordato: «Ho avuto modo di conoscere don Silvano Burgalassi sin dagli inizi della sua fase pionieristica di studioso dedicatosi alla sociologia religiosa, come si diceva allora. Lo incontrai nel 1967 a Roma a Villa Nazareth, per un’intervista sullo stato della “sociologia religiosa in Italia”, in preparazione alla stesura della mia tesi di laurea sul medesimo argomento. […] L’obiettivo del sociologo pisano era quello di far superare alla sociologia una condizione di tipo ancillare nei riguardi della pastorale ed a tal fine si preoccupò di “predicare” soprattutto ai pastori d’anime – in più riprese e in ogni dove – la sociologia come scienza autonoma e tuttavia non ostile all’azione della chiesa cattolica. Il suo fu un peregrinare diuturno, quasi senza soluzione di continuità, in gran parte delle diocesi italiane». (Alle origini della sociologia della religione in Italia. Un colloquio di Roberto Cipriani con Silvano Burgalassi, «La Critica Sociologica», 29, 1995, 113, pp. 94-108).
Con padre Ernesto Balducci conservai nel tempo un rapporto di frequentazione e amicizia. Mi commuove ancora ricordare che il 1° aprile del 1992 assieme al prof. Gianni Loy lo invitammo a svolgere per il Corso di perfezionamento in Relazioni Industriali dell’Università di Cagliari una lezione sul tema, “Cristianesimo e conflitto sociale”, aperta anche alla cittadinanza. Parlò con tutta la sua straordinaria capacità di comunicare conoscenze e emozioni davanti a un pubblico foltissimo. A braccio e in piedi, come amava fare. Dopo la sua morte, avvenuta a distanza di tre settimane, il 25 aprile per un banale, tragico, incidente stradale alle porte di Faenza, ho trascritto amorevolmente la registrazione audiovisiva che avevamo fatto e ho pubblicato, nel 1994, sulla rivista delle ACLI, Quaderni di Azione Sociale, il saggio, Di fronte alla crisi della modernità paure e speranze del mondo di oggi. Ultima conferenza di Ernesto Balducci. Il testo della conferenza, nella sua interezza è stato anche pubblicato successivamente, con la prefazione di Gianni Loy e la mia introduzione: Ernesto Balducci, Cristianesimo e conflitto sociale (Cuec editrice, Cagliari 1997).
Con don Lorenzo Milani, dopo la sua precoce morte, avvenuta a seguito di una penosa malattia, il 26 giugno 1967, ho avuto un costante rapporto di empatia e intesa attraverso i suoi scritti – libri e lettere – che, per fortuna, nel 2017, sono stati raccolti e pubblicati in una raffinata e accurata edizione critica, promossa dal Ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo, sotto la direzione scientifica di Alberto Melloni, nella preziosa collana I Meridiani, dall’editore Mondadori: Lorenzo Milani, Tutte le opere, 2 voll., a cura di Federico Ruozzi e Anna Canfora. I due volumi comprendono Esperienze pastorali e Lettera una professoressa, il secondo pubblicato a firma della Scuola di Barbiana, un mese prima della sua morte. Accanto ad essi: l’epistolario privato e tutti gli scritti sparsi; gli articoli su quotidiani e riviste dedicati a scuola, istruzione, emancipazione e sfruttamento del lavoro; le due lettere pubbliche sull’obiezione di coscienza rivolte ai giudici e ai cappellani militari.
Nel 2022, nell’imminenza del centenario della nascita di don Milani, in preparazione di un convegno a lui dedicato nel mio dipartimento di scienze della formazione, ho compiuto un’accurata ricerca nell’Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede (ACDF), la vecchia Sacra Congregazione del Sant’Uffizio, riformata da Paolo VI nel 1965, nella serie delle Censurae librorum, ho rinvenuto un fascicolo riguardante il suo libro capolavoro, ecclesiale e civile, Esperienze pastorali: il suo primo libro e anche l’unico che porta la sua firma. La serie archivistica in cui è collocato il fascicolo è denominata Teologia e pensiero cattolico. Per averne un’idea, gli altri fascicoli concernono gli scritti di Yves Congar, Henri-Marie de Lubac, Hans Urs con Balthasar, Jacques Maritain, Marie Dominique Chenu, Jean Guitton, Ernesto Buonaiuti.
Il fascicolo contiene documenti inediti che ho riprodotto per gran parte nel saggio, Il Sant’Uffizio processa Esperienze pastorali di don Lorenzo Milani. Documenti inediti dall’Archivio della Congregazione per la dottrina della fede, pubblicato su “Religioni e Società. Rivista di scienze sociali della religione” (n.102, Gennaio-Aprile 2022), che, nel loro insieme, illuminano ulteriormente le vicende travagliate e tristi dell’avvio del processo inquisitorio del Sant’Uffizio che portò, il 10 dicembre del 1958, a decretare che «Liber Esperienze Pastorali Sacerdotis Laurentii Milani e commercio retrahatur, eidem Sacerdoti Ordinarius invigilet (il libro Esperienze pastorali del sacerdote Lorenzo Milani sia ritirato dal commercio e sul medesimo sacerdote vigili l’Ordinario)».
In quest’articolo è sufficiente riprodurre una lettera, datata 14 ottobre 1958, di don Milani che riflette tristemente ma anche serenamente sul provvedimento di censura che sapeva essere ormai imminente:
«Caro Padre [Reginaldo] Santilli, oggi ho visto don [Raffaele] Bensi e l’ho trovato tranquillo come me. Anche lui pensa che io non corro nessunissimo pericolo né esteriore né interiore. Abbiamo però convenuto che qualunque cosa ella chieda da me compatibile con la verità e la dignità – questa profonda parola l’ha usata don Bensì – io guarderò di farla per proteggerla dai fulmini che ella non merita.
Se dunque lei vorrà indicarmi a chi e in quale forma posso scrivere per farle del bene, sarà mia cura di farlo. Le faccio però presente che i miei superiori sono il Cardinale [Elia Dalla Costa] (egli è contentissimo di me e della mia ben sperimentata obbedienza) e è contento anche del libro: ha detto a diversi preti che egli non trova nulla di male nel libro. Di che cosa dovrei umiliarmi presso di lui?.
Il Vescovo [Ermenegildo Florit] e mons. Mario Tirapani anche loro nulla hanno da obbiettarmi. Sono stati questi ambedue in visita e si sono profusi in complimenti, lodi, ammirazione. Il Vescovo mi disse che aveva letto il libro, che gli era parso interessante e «signum cui contraddicetur», frase questa evangelica e appunto per questo tutt’altro che spregiativa perché nel Vangelo quella pietra è il Signore! Nessunissima osservazione mi hanno fatto tutti questi miei diretti superiori. Nessunissimo richiamo ho io avuto da altri che abbiano giurisdizione su di me.
E come dunque andrei a fare di me presso di loro una “excusatio non petita” ? Ma le ripeto che se lei mi suggerirà un nome e una formula io farò il possibile per accontentarla. Ma certo non potrò scrivere «ho sbagliato, mi pento», perché sarebbe non vero. Non lo dico per superbia, ma per quel semplice ragionamento che le ho fatto nell’altra lettera e cioè che bisogna pentirsi solo del male morale, cioè dei peccati. Ed io di peccati ne faccio numerosissimi e me ne pento e confesso continuamente, ma sono tutti i peccati che faccio con tutt’altri mezzi che non la penna stilografica e la macchina tipografica.
Riceva ora un abbraccio affettuoso e a presto suo Lorenzo».