Di seguito, alcune tracce di pensiero appuntate da mio padre Michele Gesualdi. Gli chiesi di darmi degli spunti per riflettere sull’I Care di don Milani. Si mise al Pc e picchiettò per una buona mezz’ora, frasi e periodi sparsi. Era il 2017, Michele aveva la Sla già da qualche anno. Consumato, succhiato da una malattia schifosa che non lascia scampo al corpo. La Malvagia la chiamava, lo rese esile ed emaciato fino allo sfinimento. Lucido e acutissimo intellettualmente, sempre. La Sla gli rubò la parola, la lingua non gli si muoveva più, lui che al dominio della parola era stato educato dal suo prete-maestro-babbo. E che con la parola aveva fatto vertenze e comizi per difendere gli operai e le operaie, fin dalla fine degli anni ‘60. Iniziò a scrivere al Pc per parlare e comunicare con il mondo. Riporto, come trascritte, le sue parole, senza ordine apparente, e caratterizzate da quella schietta semplicità di scrittura di cui i ragionamenti profondi hanno bisogno. Altro insegnamento ricevuto a Barbiana: per dire cose importanti occorrono idee e amore, non parole ridondanti che servono soltanto a far sfoggio di sé. Ogni volta che scrivo, oggi, penso a questo.
«L’I care di don Lorenzo trasforma il particolare in universale. Lui è il prete maestro che da quando Dio lo ha chiamato per servirlo si è schierato con gli ultimi delle sue due parrocchie di San Donato a Calenzano prima e di Barbiana fino alla fine. Senza mezze misure si è battuto per ridare loro dignità ed eguaglianza. Rimanendo sempre in mezzo a loro. Non lo vediamo mai gironzolare per l’Italia a tenere convegni. È consapevole che per non sbagliare occorre schierarsi bene, scegliere fin dall’inizio da che parte stare, perché la persona umana a differenza del computer, ha un cuore di carne e si innamora delle persone che ha intorno, delle loro problematiche e fragilità. Per non innamorarsi della parte sbagliata occorre schierarsi dalla parte giusta, subito. Se avesse scelto all’inizio di occuparsi dei figli degli industriali, inevitabilmente il suo cuore di carne si sarebbe innamorato di loro e delle loro questioni.
Il suo I Care, invece, è indicare ai giovani operai di San Donato e poi ai ragazzi contadini di Barbiana obiettivi alti per cui impegnarsi, come studiare per dare forza ai deboli e voce ai senza voce. Non per divenire, un domani, dirigenti. Don Milani vuol formare e far sbocciare masse coscienti, non preparare una classe dirigente.
Il suo I Care, che trovammo su un giornaletto di giovani americani anti razzisti, lui ce lo tradusse in «Mi sta a cuore, mi interessa, il contrario esatto del motto fascista me ne frego». Su quei monti del Mugello i proprietari terrieri sostenevano il fascismo, che difendeva i loro interessi, mentre i mezzadri sfruttati lo combattevano. È a loro che don Lorenzo pensa quando lo traduce in modo così originale.
È il particolare che diventa universale.
Il suo I Care è dare la parola ai poveri e agli esclusi con la scuola, perché è la parola che fa eguali. Con la scuola si dona e si riceve. I poveri ricevono il sapere dal loro prete maestro e in cambio gli aprono i loro cuori, facendone un uomo diverso, povero tra i poveri con occhi, orecchie e mente nuove.
Il don Lorenzo di San Donato, grazie alla scuola popolare che ha organizzato per giovani operai, è un uomo diverso rispetto a quando vi arriva. Quando giunge a Barbiana, esiliato e isolato, il cappellano Calenzano si trasforma ulteriormente e definitivamente: diventa povero tra i poveri. In quella trincea solitaria del Monte Giovi trova il suo Gesù con la stessa faccia scavata e le mani callose dei suoi contadini e boscaioli.
Quando coinvolge i suoi ragazzi in tutto il suo operato e in tutta la sua quotidianità, compresa la malattia, don Lorenzo applica l’I Care. A San Donato i giovani della sua scuola si impegnano nella raccolta dei dati di Esperienze Pastorali e collaborano attivamente, ogni questione affrontata viene a lungo discussa insieme. Si può affermare che anche Esperienze Pastorali è stato il particolare che diventa universale. Il libro doveva essere intitolato San Donato, ma riuscì a terminarlo molti anni dopo quando era già a Barbiana. I capitoli si arricchirono anche delle condizioni dei giovani e del popolo di lassù e il titolo fu reso più generale, fermo restando raccontare proprio di coloro che gli stavano di fronte, il particolare che diventa universale.
Inizialmente a Barbiana tentò di insegnare la vita di Gesù e la forza del Vangelo, con i metodi di San Donato: utilizzando la cartina della Palestina disegnata a mano da lui e leggendo e spiegando pezzi dei Vangeli. Ma quando riferì l’importanza che Gesù dava ai poveri portandolo ad annunciare «beati i poveri perché di essi è il regno dei cieli», Pietrino, il giovane che passava le sue giornate a badar le pecore e a grattare terra sassosa, sentendo questo passo rispose: «Beati un corno, siamo ma spregiati e derisi da tutti». Allora don Lorenzo cambiò metodo e volle capire, discutendo con loro le sofferenze che tenevano chiuse dentro di sé con dibattiti collettivi e pareri scritti dai giovani, che poi riportò in Esperienze Pastorali.
Nell’insegnamento del Priore e nei suoi scritti non si trovano mai citazioni di altri personaggi storici, sono lui e la sua scuola che elaborano risposte concrete alla sua gente fatta in carne e ossa. La sua guida era il Vangelo e talvolta l’esempio di Gandhi che era riuscito a liberare il popolo indiano dalla colonizzazione inglese con la lotta non violenta.
L’I Care di don Lorenzo era, poi, il linguaggio scritto e parlato. Un linguaggio semplice, forte, pieno di contenuti che arrivava diritto alle coscienze delle persone. Ad ascoltarlo non si resta mai indifferenti, o si ama o si odia. Una porta spalancata alla comprensione di tutti, lontana da paroloni indecifrabili alla sua gente e che gonfiano solo il petto di chi le pronuncia, con l’arroganza della cultura per pochi.
Il suo I Care, infine, è stato Barbiana. Una località senza futuro e senza speranza che ha fatto parlare molto lontano sia come luogo che come tempo.
Oggi don Lorenzo si tenta di normalizzarlo con celebrazioni che lo pongono sugli altari o sui tavoli delle conferenze e dei convegni organizzati dal mondo da cui era fuggito. Don Lorenzo non va regolamentato o sdottrinato. Deve rimanere scomodo e scomodante. Va lasciato camminare con i tanti santi di strada con cui ha condiviso il suo percorso. Facendogli raggiungere, con il nostro esempio di uomini e donne del nostro tempo, e non con le chiacchiere, le numerose periferie dove ancora si trovano le tante Barbiane».