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Cecità

Autore

Emanuela Fellin
Emanuela Fellin, pedagogista clinica, svolge la sua attività professionale, di studio, ricerca e consulenza per lo sviluppo individuale, sia con l’infanzia e l’adolescenza, che con gli adulti. Si occupa di interventi con i gruppi e le organizzazioni per la formazione e lo sviluppo dell’apprendimento e della motivazione. L’impegno di studio e applicazione è rivolto agli interventi nei contesti critici dell’educazione contemporanea, sia istituzionali che scolastici. Le tematiche principali di interesse vertono sui concetti di vivibilità, ambiente, cura e apprendimento. I metodi utilizzati sono quelli propri della ricerca-intervento e della consulenza al ruolo per lo sviluppo individuale e il sostegno alle dinamiche dei gruppi e delle organizzazioni.

Ci sono dei rumori che non si dimenticheranno mai. Una porta che si chiude, un’altra che si apre, la calcolatrice, le voci, la suoneria del telefono, le persone che si muovono nello spazio, i passi, tutti diversi.

Se chiudo gli occhi li riconosco tutti, uno ad uno.

Queste sono le relazioni e queste sono le cose che si devono vedere nelle situazioni, anche seduti alla scrivania di un posto di lavoro.

Non si può essere ciechi di fronte alle persone.

Quante volte abbiamo sentito il detto: «Non c’è più cieco di chi non vuol vedere?». Ci troviamo molto spesso a pensare che stiamo facendo di tutto per non vedere molti aspetti della vita che si palesano ai nostri occhi ma addirittura giriamo la testa di lato per non vedere, per fare finta che, ebbene sì, vada tutto bene nonostante.

«Vedere è assai più che possedere una buona vista», scrive Luigi Manconi in un articolo apparso su “La Repubblica” del 29 marzo 2023, dal titolo eloquente Perché per vedere gli occhi non bastano. «L’essenziale è invisibile agli occhi», fa dire al Piccolo principe, Antoine de Saint-Exupéry.

Questo mese sul numero di Passion&Linguaggi abbiamo pensato di affrontare il tema della cecità come impossibilità, volontaria o involontaria, di vedere le cose.

I temi trattati vertono su molteplici scenari della vita di ognuno di noi, e l’aspetto fondamentale è riflettere sul luogo in cui la maggior parte di noi vive la maggior parte del proprio tempo: l’ambiente di lavoro.

L’aspetto che forse più di tutti ha un potente beneficio per la nostra vita riguarda le relazioni: in quanto animali sociali viviamo di relazioni perché non c’è un io senza un noi.

«La piazza è un deserto di gente», scrive Marina Cvetaeva in Aforismi [Aragno, Torino 2022, p. 23] e come la piazza anche i luoghi di lavoro dovrebbero essere luoghi di incontro e spesso sono un deserto relazionale.

Non solo le persone non vedono, ma in molti casi non vedono di non vedere, ritenendo normale la situazione in cui sono.

Nonostante le ricerche continuino a evidenziare le interdipendenze tra qualità delle relazioni e della vita di lavoro con l’efficacia e la produttività, l’attenzione alle persone e al cosiddetto fattore umano o ancor peggio definite materiale umano (basterebbe questa definizione per rendersi conto di quanto accade) cala progressivamente.

Forse è principalmente la sensibilità che è in crisi nelle realtà lavorative, come effetto congiunto del dominio delle forme economico-organizzative di stampo liberista e dell’individualismo prevalente.

La concentrazione sul calcolo e le sole competenze tecniche hanno reso ciechi rispetto a come si sentono le persone mentre lavorano, trascurando che il lavoro è un dato originario interno, come ha mostrato Francesco Novara.

Sentiamo sempre più spesso parlare di welfare aziendale, di benefit, di conciliazione vita-lavoro, di engagement e di sviluppo di competenze. Basterebbe curare e coltivare la parola “clima” per creare situazioni lavorative nelle quali le persone possono vedere dentro e fuori di sé mentre lavorano e cercano il senso e il significato della propria esperienza.

La motivazione al lavoro viene prima di tutto: dalla qualità delle relazioni e dal significato riconosciuto alle persone che lavorano e ai loro risultati.

Finché non daremo valore alle persone in quanto tali, prendendoci cura del loro sviluppo personale e professionale, creando un clima disteso e collaborativo, i luoghi di lavoro saranno sempre più sterili e bui, cupi. Le persone continueranno a non essere viste per quello che sono, ma solo per quello che producono. Si interrompe così il rapporto tra il senso e la misura, entrambe necessarie per una qualità dell’esistenza degna di essere vissuta.

Perché alla fine, la cecità è dei vedenti!

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