Fiori dolci in un balcone candido

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Sedevo sulla mia poltrona rosso bordeaux con accanto un signore che sorseggiava un buon caffè,

le mie paesane mi dicono che nessuno supera il mio,

di caffè.

Pure le tazzine sono tanto graziose,

ed effettivamente ne tengo sempre conto,

quando invito le gentili persone sul mio poggiolo ed offro le mie delizie,

introduco sempre domande come del tipo

“Carina la tazzina non è vero?” 

“Per caso è scomoda la poltrona?”

“Si sente abbastanza a suo agio?”

Non rimangono mai perplesse, anzi

mi rivolgono sorrisi gentili, mi stringono la mano, mi baciano le guance.

Un giorno avevo avuto l’idea di accompagnare questo signore sulla mia poltroncina preferita,

volevo avere la conferma che fosse la più comoda di tutte

e non nego, 

che volevo fare colpo su egli.

Eppure è rimasto tutto il tempo a giudicare

ed io percepivo che i miei papaveri stavano man a mano appassendo,

che il fiore regalato dalla mia amica Iris era desideroso d’acqua prima del tempo.

Come se una sola persona sbagliata,

sciupasse tutta la mia energia,

infangasse il mio posto sicuro,

sporcasse quel mio balcone amato

situato al di fuori del cuor mio.

La poltrona poggiava direttamente sull’atrio destro

ed egli procrastinava e faceva essiccare tutta la mia anima.

L’ho invitato altre volte, 

i miei fiori ne risentivano, quasi non potevo comprarne poiché tutto finiva per appassire,

i petali perdevano colore all’istante, 

soprattutto quando egli varcava la soglia di casa.

Ricordo che un giorno Iris, solita a portarmi un fiore il martedì mattina,

mi ha detto di non invitare più quell’uomo, che iniziava ad addolorare pure me,

che si vedeva dagli occhi che l’insonnia era tornata,

che ero disidratata.

Eppure io non me ne accorgevo, convinta che lui mi volesse bene,

che fosse mio amico,

anche un poco innamorata e saltellante nell’ingenuità,

ho lasciato correre le parole di Iris,

anzi, non ho più invitato lei nel mio balconcino. 

Un mattino mi sono svegliata

e come solito ho preparato la mia tisana nella tazza verde pastello

ma nel mentre mi sono accorta di un evento troppo insolito:

era cresciuta un’ortensia. 

La tazza si è frantumata in mille pezzi per terra,

le mani mi tremavano troppo

ed io sono corsa a vederla più da vicino.

Nel mio balcone non c’era nessuna pianta, alcun fiore,

se non un’ortensia.

Sono molto influenzata dalla tradizione cinese,

dove si crede che essa sia simbolo di solitudine

poi anche che non andrebbe regalata alle donne in procinto di sposarsi,

altrimenti rischierebbero di restare sole a causa di un divorzio o una vedovanza.

Un raggio di luce non c’era,

ed io mi ero bloccata alla prima parte della tradizione;

solitudine.

Convinta che fosse impossibile, ho potato il fiore.

Eppure ogni giorno essa cresceva,

si moltiplicava, migliorava il suo colore.

Il mio balcone non era più fiorito, né candido e nemmeno dolce.

Vi era aria aspra, vibrazioni negative, tristezza.

Ormai m’ero data per vinta,

convinta d’esser rimasta sola, mi abbandonai a me stessa

e continuavo la solita routine, divenuta tossica e noiosa.

Un giovedì, all’alba 

mi guardavo in giro finché ho visto passeggiare Cecilia,

una vecchia ‘amica’.

S’era fatta robusta, indossava un cappotto viola scuro, degli occhiali da sole,

probabilmente di marca super costosa

e teneva i suoi soliti capelli crespi castani

che più volte le consigliavo di curare.

Mi salutò,

ed io ricambiai.

Non so poi cosa mi fosse preso, che meccanismo si fosse acceso nel mio cervello,

che leva avevo tirato.

“Cecilia! Da quanto tempo! Dai sali, ti preparo un buon caffè, puoi pure sederti sulla mia poltrona, c’è sopra una coperta così non prenderai freddo.”

Da quel momento in poi non mi facevo più grossi problemi se il mio balcone fosse sporco,

accogliente, pieno di fiori e di profumo.

Non mi importava anzi, 

invitavo chiunque, solo per mostrare che non fossi sola,

non potavo più le ortensie, 

le lasciavo fiorire e poi morire da sole,

di certo non le innaffiavo.

Davo anche il permesso di non utilizzare il portacenere.

Non so dire quante persone siano passate,

a partire da parenti che m’avevano conficcato asce nel cuore

ad amicizie mai veritiere 

e quel signore, poi scoperto come Renzo,

mi faceva visita ogni giorno, alle tre del pomeriggio.

Non faceva mai ritardo, voleva il solito caffè espresso,

ed io lo accontentavo.

Non m’accorgevo nel mentre che io non sedevo più sulla mia poltroncina,

che la coperta la donavo sempre agli altri,

che la tisana non avevo più tempo di prepararmela da quanti ospiti avevo.

Non mi rendevo conto dei vestiti sporchi che indossavo,

dei capelli spettinati ed unti,

dei denti sporchi, delle unghie non più ben curate

e degli occhi spenti, privi di trucco.

A mezzanotte del lunedì, Iris è venuta a farmi visita,

con uno specchio in mano.

La ricordo perfettamente, il trucco colato,

quel poco sudore che le percorreva la fronte,

la bocca un minimo aperta macchiata del suo rossetto preferito di Astra.

Sbalordita, l’ho invitata ad entrare.

“No! Non entrerò come le altre mille persone a cui hai dato il permesso! Non infangherò il tappeto che t’ha regalato tuo nonno a cui tieni moltissimo.

Rimarrò qui sullo zerbino, quello di cui ho bisogno ora non è la tua poltrona, né vedere la quantità di ortensie che si sono fatte spazio sul balcone tuo.

Ora voglio solo che ti pulisci le orecchie e che mi ascolti!”

Ho preso le mie gocce per le orecchie, le ho messe, poi Iris ha posizionato lo specchio davanti a me

uno di quelli vecchi, di oro finto,

sembrava pure pesantissimo.

“Lo capisci che non puoi non essere amica prima di tutto di te stessa?

Che non puoi lasciare agli altri il potere di rovinarti? Di rendere banali le cose che per te sono fondamentali?

Lo capisci che il mondo ti parla, che non devi allontanare chi ti vuole bene davvero, che devi concederti settimane intere per sistemarti la buffa che ti è spuntata sull’alluce per quelle scarpe tanto belle ma alquanto scomode che hai indossato per quella serata magica.

Lo devi capire che non puoi annullarti per essere vista, che la famiglia non è per forza quella di sangue ma può anche essere quel tulipano, di colore diverso ogni volta,

 che ti regalavo tutti i martedì mattina con spesso sopra un piccolo bruco.

Lo studi il linguaggio della tua vita? Capisci che il balcone oramai è secco e che ci vorranno almeno sei settimane per riportarlo raggiante e incantevole come prima e che ti dovrai impegnare

e se mai decidessi di chiedere aiuto,

nessuna di quelle persone che hai invitato qui negli ultimi tempi verrebbe,

nemmeno quel Renzo.

Non te la ripeti più tutti i giorni la frase di quella Biancaneve, 

la ragazzina che invitavi spesso 

e per non portare scompiglio nemmeno si sedeva, 

ti portava parole di conforto e le sue solite margherite. 

Dai non la ricordo bene, mi pare fosse -Con l’occhio esploratore, il cuore come guida e la mente consigliera, riesco a conoscermi-. 

Perché non cerchi di conoscerti più?

Gli individui che incontri nel percorso del tuo cammino non riempiranno mai quel tuo balcone dolce e candido che tu maneggi e fai diventare come amaca,

in tanti lo trasformeranno in nave in tempesta.”

Senza fiato Iris si era fermata, 

potevo percorrere il mio viso sul vecchio specchio e riconoscere che m’ero persa per strada.

Gli occhi miei e di Iris in un attimo divennero navi che affondavano e lacrime 

Iniziarono a fuoriuscire.

Dopo tanto tempo, uno spiraglio di luce ci ha accarezzato il viso,

noi inginocchiate a terra completate in un abbraccio

e la ragazzina dai capelli rossi si è fatta viva per un istante,

ho sentito che indossava le punte da ballerina per essere più delicata e non creare ulteriore caos.

Oggi non mi sveglio più, Iris prepara due tisane,

una per lei e l’altra per la sua cara amica oramai spenta che arriverà tra un po’ 

come spiraglio di luce o aria fresca.

Si siede sulla mia poltroncina e s’accorge che non c’è più neanche un’ortensia

ma tante margherite e l’erba è verde di nuovo.

Un bel tulipano a lato del balcone che rappresenta il vero amore;

che a volte non ci coccoliamo affatto e finiamo con lo spegnerci,

rischiamo tutto senza rendercene conto

e poi tra le mani non abbiamo più nulla.

Che non sempre c’è tempo per risolvere le cose,

che noi non siamo immortali.

Iris rimane sempre seduta sulla poltrona degli ospiti,

impaurita di frantumarmi

anche quando al mondo io,

non ci sono più.

-Biancaneve

3 Commenti

  1. Ho appena letto questo articolo ed è semplicemente fantastico. Mentre leggevo,ogni parola e ogni frase, mi entrava dentro,nel cuore; davvero bellissimo.

  2. Wow! Wow! Wow e ancora Wow♥️ davvero sono senza parole! E per me è davvero difficile haha! Leggendo questo articolo ho sentito così tanto! Ogni tre per due la mia faccia cambiava espressione. Davvero buffo da vedere per chi ha assistito alla mia silenziosa lettura haha♥️
    Hai davvero talento. Sei riuscita a farmi sentire gli odori e i suoni del tuo racconto♥️♥️♥️
    Bravissima⭐️

  3. Felicissimo di aver trovato questi scritti. Raramente mi è capitato di avanzare tra le parole come se mi stessi addentrando in un territorio meraviglioso mai visto prima, dove ciascuna frase è una meraviglia di colori, che tuttavia se osservata nuovamente può celare una nuova meraviglia, mostrare un nuovo riflesso dell’anima dell’autrice.
    È un viaggio coinvolgente, e anche se poi sono costretto ad allontanarmene per tornare alle mie preoccupazioni quotidiane, è un’esperienza che posso portare con me, e so già che questa giornata sarà migliore. E sono contento che quando vorrò potrò rivedere questi paesaggi naturali e continuare a conoscerli, con i loro venti, le tempeste, i precipizi, ma anche con i loro fiori, la luce e i raggi tiepidi del sole. E contento che sarò benvenuto a fermarmi per una piccola sosta e questa volta vorrei essere io a preparare un buon caffè a chi l’ha spesso offerto, e offrirle una fetta di torta.
    Grazie

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