Sembra paradossale dedicare il numero di settembre al tema del fermarsi, quando l’intera nazione si prepara a ripartire. Le aziende riprendono la loro attività dopo le classiche vacanze agostane, la scuola riapre le porte a studenti e studentesse che occuperanno i banchi di scuola dopo un’estate di vacanze, mare, giochi, divertimento, amicizie e amori iniziati e finiti.
Abbiamo raccolto molti pezzi che ci hanno aiutato a dialogare su questo paradosso e li condividiamo con voi affinché possa essere una riflessione che porta al confronto, in quanto siamo sempre propensi a ripartire accelerati ogniqualvolta abbiamo la percezione di fermarci.
Nel suo pezzo Claudia Losi scrive che quando siamo stati obbligati a fermarci, ci ripetevamo quasi come un mantra, che questo ci avrebbe insegnato qualcosa d’importante.
Eppure, sotto sotto lo sapevamo che non sarebbe stato così. Che avremmo accelerato.
Forse fermarsi, alla maggior parte di noi, fa paura: non è tanto piacevole guardarsi avendo solo noi stessi come specchio in cui riflettersi.
Anche l’arte ci chiede di fermarci e osservare, non guardare, ma prenderci il tempo per capire e cambiare prospettiva. Isabella Chiadini lo fa attraverso la presentazione di una mostra a Venezia inserita alla Biennale, From Palestine With Art. L’arte e gli artisti, con i loro corpi e le loro vite, sono passato, presente e futuro in un movimento non obbligatoriamente lineare perché le opere sono impastate di vita in divenire; che contiene stratificazioni e intersecazioni di memorie personali e collettive e, protendendosi al sogno, si apre alla trasformazione.
Il saggio di Ugo Morelli ci riporta in un’altra dimensione paradossale che per fermarsi non bisogna fermarsi mai. Alfonso Maurizio Iacono a sua volta associa il concetto di fermarsi alla riflessione come condizione della conoscenza. Solo in quel modo si accede alla meraviglia che è la condizione per guardare il mondo con altri occhi. La riflessione di Matteo Meschiari ci induce a riconoscere che fermarsi qui non ha senso; produrremmo e riprodurremmo l’esistente: è necessario fermarsi altrove, creando l’altrove con una mossa che ci richiede di ridiventare Sapiens.
Nulla come l’inaudito quindi può generare meraviglia, ma allora bisogna chiedersi perché spesso questo non accade e ci consegnamo all’abitudine.
Sappiamo che di fronte a una forte discontinuità nel nostro cervello si attiva una reazione che può dar vita a due esiti tra loro contrapposti. Da un lato una immediata compensazione che riporta alla restaurazione dell’ordine precedente, scartando il segnale di discontinuità. Dall’altro, seppur meno frequentemente, si attiva un processo di mind wandering che porta ad un’integrazione estesa del segnale a livello cerebrale facendo fruttare la discontinuità in un effettivo cambiamento. Fermarsi di fronte alla crisi ecosistemica vuol dire impegnarsi a far prevalere la seconda modalità, di cui pure siamo capaci, come è reso evidente e necessario dal contributo di Roberto Barbiero.
Certo, le condizioni interiori per sostenere il mind wandering non sono semplici e sono accompagnate da notevoli livelli di tormento e inquietudine. Siamo infatti nella condizione di elaborazione delle incertezze e delle ansie così intensamente descritte da Biancaneve, che con i suoi quattordici anni si situa sull’orlo di un presente invivibile dal quale, pur con sofferenza, come accade alla sua generazione, cerca di distillare un senso del possibile.
Non sono solo i nostri comportamenti ad avere il moto di fermarsi per agire, anche i luoghi devono essere pensati in questo modo. Il pezzo di Maria Inglese e Germana Verdoliva richiama un tema urgente e importante che è la situazione delle persone che risiedono in carcere, luogo in cui ad essere fermi sono sia lo spazio che il tempo, la stessa aria è ferma.
Settembre è un mese importante anche per la politica, saremo chiamati al voto, in un tempo dove fermarsi e pensare per agire è fondamentale per non commettere i soliti errori, che sappiamo già dove ci porteranno, piangendo poi sul latte versato, il solito e maledetto senno di poi.
Abbiamo la necessità di agire fermandoci e cambiando prospettiva, pensando dove stiamo andando con le nostre azioni e le nostre scelte, spesso scellerate e senza senso. Per giungere a un risultato di vivibilità è necessaria un’impresa globale, perché il problema che abbiamo di fronte è globale e controverso e da qui nasce l’esigenza di fermarsi e calibrare bene ogni passo, per muoversi in un mondo che ancora non c’è e che è tutto da inventare.