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Fermarsi all’hof?

Autore

Giuseppe Varchetta
Giuseppe Varchetta nasce a Riva del Garda (Trento) nel 1940. Vive e lavora a Milano. Psicologo dell’organizzazione di formazione psico-socioanalitica, socio fondatore e past president di Ariele, dopo una lunga esperienza nell’area della formazione, dello sviluppo organizzativo e della gestione del Personale, è stato professore a contratto presso l’Università Statale Bicocca di Milano, dove ora collabora come cultore della materia. Consulente di formazione e sviluppo organizzativo, direttore della rivista Educazione sentimentale, ha al suo attivo molte pubblicazioni in tematiche di formazione e sviluppo organizzativo. In ambito organizzativo-formativo ha pubblicato con Franco Angeli: L’approccio psicosocioanalitico allo sviluppo organizzativo (2005 n.e.), con Dario Forti; Cronaca della formazione manageriale in Italia: 1946-1996. Retablo (1998), con Ugo Morelli. Con Guerini e Associati, ha pubblicato tra l’altro: Ascoltando Primo Levi (1987, 1997, 2011), La solidarietà organizzativa (1993), Emergenze organizzative (1997), L’ambiguità organizzativa (2009), Trame di bellezza (2011); Il management dell’unicità (1999) con Telmo Pievani, La valutazione riconoscente (2005) con Andrea Fontana e ha curato con Paolo Iacci Il ritorno dei capi (2006). Dal 1988 al 2010 è stato responsabile con Eraldo C. Cassani della rubrica “Iconografie organizzative” della rivista “Sviluppo e Organizzazione”. Ha collaborato come fotografo al settimanale “Diario” e alle riviste “Musica viva”, “Leggere”, “Laboratorio musica”, “Città”, “Danza e Danza”, “Pluriverso”, “Flash Art”, “Alfabeta 2”, “Ottagono”, “La Direzione del Personale”, “Educazione Sentimentale”. Per la casa editrice Bruno Mondadori ha curato una copertina su Primo Levi. Fotografie di Giuseppe Varchetta hanno costituito il materiale di base per la campagna istituzionale e la pubblicità dei diversi progetti di formazione della Trentino School of Management di Trento. Fotografie di Giuseppe Varchetta hanno costituito il materiale di base per il catalogo istituzionale delle attività di formazione edito da Formazione & Lavoro, società consortile del sistema Cooperativo Trentino.

L’A22 vomita lunghe sequenze di Tir; il giovane uomo alla guida recupera una tranquilla quiete: la berlina esce al casello di Egna e imbocca la SS 48. L’avvio del seminario: “Competenze e Esperienza Organizzativa” è per l’indomani mattina su in valle.

Il giovane relatore ha programmato un arrivo anticipato nel pomeriggio, un ultimo riordino del suo contributo non ancora del tutto in realtà definito.

Il paesaggio è ora diverso. Il tratto stradale sinuoso, accompagna terrazzamenti, una ripetizione infinita di vigneti, capace ad ogni sguardo di rinnovare tuttavia una ricorrente meraviglia. L’andatura pur lenta, un passo antico, guadagna progressivamente quota.
Ad un tratto si apre un breve altopiano, quasi un preavviso del prossimo, largo abbraccio della Val di Fiemme: un lungo rettilineo e, sulla destra, un edificio, un incontro inatteso, l’hotel Pausa.
La via inaspettatamente dritta invita ad un aumento della velocità, quasi un adolescenziale sfogo dopo tanta guida cauta. L’insegna dell’albergo Pausa, riduce tuttavia di nuovo inconsapevolmente la velocità e il giovane uomo, senza interrogarsi, gira istintivamente a sinistra, seguendo una indicazione stradale. Il paesaggio cambia. La strada riprende a salire e, con curve e tornanti, taglia profondamente il bosco di abeti e larici. Il giovane uomo si rende progressivamente conto di essere immerso in un paesaggio solo naturale; non incontra nessun edificio, come se la gente del luogo avesse deciso di preservare quei versanti della montagna per il solo abbraccio della natura. Dopo un breve altipiano, la strada riprende a salire fino a un secondo altopiano più ampio. Sulla destra, su un picco, una chiesa circondata da un cimitero. Il giovane uomo, preso da profonda curiosità, guida con circospezione e ferma la macchina al termine della strada, davanti ad un grande arco, segnato dalla scritta ‘………..… hof’.
Il giovane uomo è ora un viaggiatore, rimesso allo stato delle cose, pronto ad accogliere l’inatteso. Superato il cancello raggiunge il parcheggio. L’hof- un maso trasformato dalla fine dell’Ottocento in un hof per ospitare viaggiatori e turisti – lo accoglie con la sua struttura articolata. Il luogo è silenzioso e deserto. L’angusto locale adibito a front office lo accoglie con un profumo di cirmolo. La conversazione è breve e il giovane uomo, come agendo un piano fissato da tempo, chiede di poter soggiornare per una notte. Non può lasciare Infatti quel luogo, un dono imprevisto, senza esplorare quegli spazi brevi, le volte rotonde, i muri larghi, le pareti bianche contrastate dai mobili colorati dal tempo. La camera assegnata lo accoglie con volumi larghi, mobili essenziali, un odore di cirmolo ancora più acuto e un infinito silenzio. Riposto il bagaglio, esce immediatamente dalla stanza e esplora gli spazi diversi dell’hof; la hall dell’entrata, angusta, quasi un corpo cavo, la biblioteca odorosa di libri, gli stretti corridoi che tagliano i tre piani dell’hof, la larga sala da pranzo. Gli incontri sono rari, il personale di servizio distaccato e gentile. L’inizio di primavera coincide con l’avvio della stagione di lavoro dell’hof e il silenzio, sul far della sera, ha echi perturbanti. Il giovane uomo risente pagine di Musil, di Bernhard e inizia a percepire una indeterminatezza scivolosa e si rende conto improvvisamente come, al di là di un breve scambio per la consegna del documento di identità, non abbia parlato con nessuno.
All’ora di cena si affaccia alla sala di pranzo, La cena si prolunga, ritmata da un ininterrotto parlottio dei pochi commensali e dallo scivolare diligente di due cameriere. Il giovane uomo avverte crescere un turbamento diffuso. Avverte la legittimazione della sua scelta di cambiamento insieme ad un sentimento di profanazione di doni immeritati e come tali sfidanti. L’attenzione stupita non lo lascia e lo conforta nel riandare alle argomentazioni del filosofo intorno alla tematica ‘Straniero’, al sottolineare come la medesima radice hos strutturi i lemmi hospes e hostes, due universi semantici opposti e come anche il lemma hof rinvii alla radice hos. E l’hof contiene così le prospettive di un luogo ambiguo, di una perturbante ospitalità. Sul retro del menu schizza a memoria il grafo tracciato dal filosofo durante il suo argomentare

e, improvvisamente, in quel largo spazio ora quasi deserto e silente, intuisce il nucleo del suo disagio. Si sente vitale e insieme non riconosciuto. Non ha incontrato nessuno.
Siamo esseri relazionali e la relazione è vertice per la comprensione della intersoggettività e fonte dell’individuazione.
Sale nella camera ora rasserenato e rinforzato nella riflessione da proporre l’indomani: non si struttura alcuna competenza, annullando ogni prospettiva di apprendimento organizzativo, al di fuori di un localizzato e rubricato nel tempo processo di riconoscimento.
Ha letto di un soggiorno nell’hof, nei primi decenni del 900, di Max Plank e Erwing Schrödinger e, addormentandosi, sorride, non accade spesso di essere ospiti dove abbiano soggiornato dei premi Nobel.
Non è un riflettere triste. Quei due sono stati dei giganti e come ha sottolineato l’artista

La loro presenza negli spazi inesplorati dell’hof vibra anche questa notte e di questa magia il giovane uomo professa pieno riconoscimento.

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