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La solitudine

Autore

Claudio Piersanti
Claudio Piersanti (laureato in Filosofia a Bologna) ha pubblicato quasi tutti i suoi libri (romanzi e racconti) con la Feltrinelli. Il suo primo romanzo, Casa di nessuno, è uscito nel 1981. Alcuni, più volte ristampati in Italia,  hanno ottenuto premi (Viareggio, Vittorini ecc) e sono stati tradotti in molti paesi. Tra questi: L’amore degli adulti, Luisa e il silenzio, L’appeso, Stigmate (un libro a fumetti realizzato con Lorenzo Mattotti) e il recente La forza di gravità (2018). Recentemente ha cambiato editore, e il suo nuovo libro (Quel maledetto Vronskij) uscirà nel marzo 2021 presso Rizzoli. È stato a lungo anche sceneggiatore lavorando per il cinema (soprattutto con Carlo Mazzacurati) e  la televisione. Ha diretto per anni La rivista dei Libri (ediz. Italiana della New York Review of Books). 

La moglie è quasi pronta, almeno così grida dal piano di sopra. Ma non lo è davvero e lui lo sa perché la sente correre tra il bagno e la camera. Ci vorranno altri dieci minuti almeno.

L’uomo aspetta gironzolando nel soggiorno a piano terra. È nervoso, non aveva tanta voglia di uscire. Si chiede ogni volta: c’è bisogno di tanta toilette per andare a prendere un gelato?

Finalmente lei scende, escono tenendosi a braccetto. È un normale pomeriggio estivo, sono le cinque ma fa ancora caldo. Camminano chiacchierando del più e del meno.

Questo immagina l’uomo solo quando si prepara a uscire. Lui non deve aspettare nessuna. Se è pronto può uscire ma può anche non uscire se ha cambiato idea. 

Si potrebbe parlare di libertà. Ma un uomo solo difficilmente esce per uno stupido gelato. Ne ha diversi tipi nel surgelatore, perché con la solitudine si diventa previdenti. O del tutto selvaggi, alla Lebonsky. In fondo è lo stesso.

L’uomo solo di una certa età fa abbastanza impressione. Tutti si chiedono come mai si è ridotto così. Gli amici cercano da anni di accoppiarlo, inutilmente. Non sanno che l’uomo solo non ha scelto di esserlo. La solitudine è un risultato di tante coincidenze, di un flusso. 

L’uomo solo scende le scale di casa e trova una camicia, della quale si era liberato il giorno prima salendo sudato verso il bagno. Si era spogliato salendo le scale. Può seguire le sue tracce. Pantaloni di lino accartocciati, calzini, biancheria intima. Tutto è immobile, tutto è ancora dov’era.

La tazzina del caffè dimenticata davanti alla tivù è da lavare, deve metterla a bagno. Un tovagliolo usato giace nell’angolo del tavolo. Insieme a un cucchiaino, usato in piena notte per vuotare un avanzo freddo scovato in frigo.

La solitudine lascia tutto così com’era, ti fotografa esattamente. La solitudine non perdona e non concede alibi. Per fortuna una signora delle pulizie getta scompiglio in casa una volta alla settimana e questo spezza la catena delle fotografie. Spesso la maledice perché non trova le cose dove dovrebbero essere e allora vorrebbe una solitudine assoluta. Imparerò a stirare! Giura in questi casi. Farò tutto da solo. Raggiungerò la perfezione.

Volendo, si potrebbe ipotizzare che la solitudine rende perfetti.

L’uomo solo pensa che nel passato aveva aspettato a lungo le sue signore camminando avanti e indietro in soggiorno. E con loro aveva passeggiato, erano andati a farsi le analisi e dal dentista, al ristorante o al noiosissimo cinema, e sugli aerei, con dietro bagagli mescolati dove le mutande si confondevano.

L’uomo solo non si fa carico degli impegni altrui e nessuno bada ai suoi.  Se lascia il rubinetto aperto resterà aperto, se lascia accesa la fiamma di un fornello resterà accesa fino all’incendio generale. È responsabile di tutti i suoi errori e di tutte le sue mancanze. Nessuno cambia il mondo per lui. Non ci sono sorprese. Ogni colpa è soltanto sua. Non deve affrontare rimproveri e lagnanze di altri ma se ne rivolge a volontà da solo. Perché l’uomo solo a un certo punto inevitabilmente parla da solo, con gli oggetti che manipola, col suo telefono supertecnologico che lo capisce e spesso quasi lo commuove. “Hello!” gli dice e la voce femminile del telefono gli risponde. La voce del telefono non chiede niente, non vuole comprare delle scarpe o uscire per assistere a uno spettacolo estivo. 

A volte l’uomo solo ripensa alle donne che ha amato. Non molte. Di solito appaiono a piccoli gruppi, o addirittura in solitaria, sorprendendolo perché da anni non aveva di lei o di loro alcun ricordo. A volte le ricorda esattamente com’erano, poi scompaiono. Di alcune non sa neanche se sono ancora in vita. Non sa niente di preciso. Non farebbe neanche una telefonata per saperne di più. L’uomo solo non conosce la curiosità.
La solitudine ti priva dello specchio, delle coordinate umane basilari. I giorni sono tutti uguali, le ore sono tutte uguali, tutto resta esattamente com’era: soltanto la polvere che aumenta segnala il tempo.  Il solitario teme la polvere perché gli ricorda il tempo, categoria mentale del tutto incomprensibile per lui.

Implacabile, la polvere scende in ondate invisibili, e ti racconta il tempo andato.  Quando il solitario la raccoglie con il panno ne prova quasi nostalgia.

La nostalgia si affievolisce, come il lutto. L’uomo solo da tempo sente sempre più debolmente la sgradevole attrazione della nostalgia.

Se esce di casa può parlare e parlare, a lungo e con tutti, ma in realtà non ascolta e non si ascolta. Nessun essere umano può attrarlo più del brutto film fuori orario che lo accompagna nel sonno. Addormentarsi è il suo unico desiderio, la sua lussuria. 

Il solitario non lascia troppi lutti dietro di sé e muore rigorosamente da solo. Pensa spesso a quel momento: un’infermiera giovane spennellata di rimmel che gli chiude gli occhi. 

Il solitario non sa se c’è un confine tra la vita e la morte.

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