Bisconte, settembre 2020. “Come descrivereste il vostro quartiere se doveste raccontarlo a qualcuno che non c’è mai stato prima?”. Davanti a me sei volti un po’ incuriositi, un po’ sospettosi e guardinghi, un po’ spaventati. “Qui non c’è niente. Neanche i messinesi ci vengono qua, perché dovrebbero?”, mi risponde Giorgia in un siciliano molto stretto, quasi incomprensibile, a mo’ di sfida. Una sfida ma, comunque, un inizio. Una domanda. Una possibilità. Di conoscersi, di scoprirsi. Credo che ciò che spaventi più di ogni altra cosa, non solo gli adolescenti, ma ciascuno di noi, sia scoprire di non riconoscersi. E a 15 anni, quando il cambiamento è immenso e la vita sembra scorrere velocissima, il non riconoscersi è quotidiano.
Mi chiedo, allora, se non sia questo spavento continuo a indicarci le vie d’uscita dalle nostre crisi. Krisis come “scelta, decisione”. Come movimento inevitabile verso l’incontro con di “nuovi sé”, soprattutto in quella fase incerta, instabile, ma cruciale, che è l’adolescenza.
Maria, Evelin, Giorgia, Eleonora, Chiara e Martina hanno scelto, ogni volta, a ogni incontro, di esserci. Di mettersi davanti alle proprie paure e alle proprie fragilità. Di raccontare a chi non conosceva affatto la loro terra, un po’ della sua storia. Un po’ della loro storia, al tempo stesso.
“Cosa vorreste cambiare del luogo in cui vivete?”.
“Qua non si può cambiare niente. Appena provi a costruire qualcosa, il giorno dopo te la distruggono”.
Di nuovo: una sfida, una provocazione. Sui loro volti rassegnazione ma anche desiderio, una potente richiesta: “Dimostraci che non è così. Fiducia non ne abbiamo, ma tu aiutaci a dimostrare che non è così”.
Gli adolescenti ci mettono in crisi. Con le loro domande, con i loro sguardi e profondi silenzi. In quel momento ero io a dover scegliere: dentro o fuori? Me la rischio, tento o lascio perdere? La paura di fallire e di incontrare nuova delusione nei loro occhi era enorme. Ma poi ho deciso di giocarmi il tutto per tutto, di attraversare insieme quella crisi, che non era solo mia o loro, ma del mondo intero. Durante i due anni di pandemia, un po’ a singhiozzi ma senza mai perdere di vista quella decisione profonda che aveva mosso il nostro agire insieme, abbiamo continuato a scavare sempre più a fondo, per scoprire cosa ci stava bene e cosa no, di quel luogo, di Bisconte, ma anche di noi stesse.
“Siamo noi per primi a non apprezzare la nostra città che è piena di bellezze nascoste e a sminuire tutto ciò che la caratterizza, come ad esempio i suoi quartieri. In particolare mi riferisco a Bisconte e Cataratti, non perché gli altri siano meno importanti, ma perché sono quelli meno tenuti in considerazione e soprattutto perché IO SONO CRESCIUTA QUI”.
Alla fine di questo viaggio insieme, Maria ha sentito il bisogno di scriverlo, di leggerlo davanti a tutti. “Io sono cresciuta qui”. E le ragazze di Bisconte hanno voluto lasciare un messaggio ancora più grande e potente sul muro che dà sulla piazzetta al centro del quartiere: “MINORANZA ATTIVA”. Tra colate di vernice e impronte di mani colorate, un grido rivolto a chi crede di non poter cambiare le cose e, soprattutto, a loro stesse. Per ricordarsi che basta avere un po’ coraggio e “decidere” di uscire dalla crisi, per realizzare ciò che prima sembrava impossibile.
A 15 anni tutto sconvolge, tormenta, destabilizza. Ma nella vita i punti di equilibrio e di stasi sono quasi impercettibili, assai fugaci. Molti invece, i momenti cruciali, dove ci viene chiesto di avanzare, di scegliere, di cadere e continuare.
E allora dovremmo dirglielo, con onestà, ai nostri ragazzi e alle nostre ragazze. Che questo moto continuo di ricerca e stravolgimenti interiori è ciò che contraddistingue l’Umano, il Vivente. Che ciò che possiamo fare è continuare a tornare sulla cresta dell’onda, ogni volta che si alza il vento e il mare si increspa. Dovremmo dirglielo che nonostante la tempesta sollevi e rimescoli il fango e la rena sul fondo, alla fine le acque tornano sempre a essere limpide e chiare, forse ancor più di prima. E a Giada – non di Bisconte a Messina, ma di Corvetto a Milano – che alla domanda: “Ma tu cosa fai nel pomeriggio?”, guardandomi con occhi che non lasciano vie di fuga, risponde: “Mah sai, quando torno da scuola, dopo che ho preso le mie pasticche, non mi rimangono molte forze per fare altro”, vorrei dire questo. Che il dolore e lo spaesamento talvolta possono essere enormi, spaventosi, ma è proprio grazie a quella crisi che ci è concessa la possibilità di riscoprirci, ricrearci, ritrovarci.