Il confine dell’arte ha dei limiti sconfinati

Autore

Francesco Cascinohttps://www.francescocascino.com/
Sono nato a Matera il 28 Giugno 1965 e mi sono laureato in Scienze politiche nel 1989. Dal 1990 al 2000 sono stato Direttore delle Risorse Umane in tre diverse multinazionali. Oggi sono Contemporary Art Consultant e Cultural Projects Curator e mi occupo di arte da parete e arte da processi, cioè sia di arte da collezione a beneficio di privati, appassionati e collezionisti, sia di arte come pratica e approccio progettuale art thinking oriented per imprese di ogni genere, istituzioni e rigenerazione culturale, urbana e umana. Come Art Consultant informo e supporto le scelte di collezionisti, acquirenti e appassionati di arte contemporanea nella selezione di opere d’arte di ricerca e di alta qualità, nell’analisi del miglior rapporto qualità prezzo e nella progettazione di intere collezioni, in Italia e nel mondo. Come Cascino Progetti mi occupo di ideazione e realizzazione di contenuti, interventi temporanei, installazioni permanenti, inserimento di arte e artisti a monte dei processi di ogni tipo di azienda e attività. Mi occupo inoltre di rigenerazione culturale e urbana di città, borghi, territori e paesaggio (insieme al mio Advisory Board e ai miei Partner che si occupano di heritage management digitale, architettura, design, economia della cultura e diritto societario).

Scrive Ugo Morelli nel suo articolo del 27 Aprile 2022 su ViaGramsciQuel che ci rende creativi… Il senso del possibile tra ecologia dell’azione ed ecologia dello spirito”, che è, allo stesso tempo, sia un vortice di conoscenza emotiva nel quale perdersi per ritrovarsi, sia un trattato di osservazione cognitiva che abbatte le barriere tra le due sfere, come farebbe un’opera d’arte: Sappiamo che non è vero sempre che ad uno spazio discrezionale di gioco molto ampio corrisponda una maggiore capacità creativa. In particolare la distinzione della creatività umana sta forse nell’invenzione dell’inutile, cioè del non immediatamente strumentale e pratico e, quindi, nella creatività artistica e scientifica. [Morelli U., 2018, Eppur si crea. Creatività, bellezza, vivibilità, Città Nuova, Roma; Morelli U., 2010, Mente e bellezza, Arte, creatività e innovazione, Allemandi & C, Torino]. 

Da qui, cioè dall’utilità vitale dell’arte per la visione – cosa che non appartiene alla società efficientista ma a chi sa che siamo esseri simbolici – partono anche diversi artisti per rimescolare e poi deformattare la nozione / cognizione di mappa, regola, procedura, obbligo, vocabolario, abecedario, traduzione ministeriale del reale, allo scopo di comprendere e ricostruire, o decostruire, l’architettura dell’intelligenza, come la chiama l’artista Giuseppe Stampone, nell’intento di esprimere senza descrivere le nefaste influenze di scuole, limiti, confini e dittature linguistico grammaticali, formali, accademiche, istituzionali. 

La pratica della ricombinazione degli elementi della realtà imposta per scoprire nuove realtà reali, cioè quelle invisibili, le uniche che ci tengono in vita, è propria dell’arte, da sempre, a dispetto di quel che si pensa. Come il dialetto: forma espressiva infinita dai contorni leggibili ma senza confini né regole precostituite. 

La voce come suono espressivo che informa sulle proprie identità morfologiche, culturali, emotive, erotiche, energetiche, umorali, amorose. 

Giuseppe Stampone – The architecture of intelligence – Acrilico su tavola – 2014

Il rapporto mente – corpo – network quindi non viene alimentato dai soli 5 sensi accreditati dalla scienza ma almeno da altri tre, che si aggiungono e ricombinano soluzioni e percezioni nuove ogni volta, come Gianluca Marziani e io abbiamo scritto in un manuale per la fruizione turistica inedita e di nuova generazione dei beni materiali e immateriali della Calabria, su mandato regionale: visione, connessione e senso sociale si aggiungono a gusto, vista, olfatto, tatto e udito per comprendere appieno cosa stiamo guardando. E soprattutto vedendo. Non a caso i sensi diventano 8 come l’infinito perché la combinazione, o ricombinazione di tutti questi sensi con l’esperienza sensoriale e cognitiva del bene artistico, sia esso un castello, una scultura o il profumo di un mare – perché sono diversi come diverse sono le esperienze che si fanno del mare – abbatte i confini delle mappe geopolitiche ufficiali e porta l’immaginazione a produrre nuovo senso, nuovi sensi e, soprattutto, nuovi modi di scoprire nuovi mondi. 

Nelle opere di Dario Carmentano, da sempre impegnato nella ricerca del paradosso creativo che indaga i cortocircuiti linguistici della cultura prevalente, ne scopre gli errori non fertili e trasforma gli equivoci depistanti in enigmi in_formanti, il confine formale degli oggetti che oggi usiamo per cucinare, bere, mangiare, pulire, sederci, leggere o studiare, può essere disegnato diversamente da come lo vediamo, riportando l’immaginario sia agli utensili della preistoria, sia alle morfologie dei luoghi in cui quegli oggetti sono stati creati e perché. 

Dario Carmentano – Thé x thé – Collage su carta kraft e compensato – 2019

Perché l’arte lo dice diversamente. 

Dario è un artista nato a Matera che vive nei Sassi, agglomerati urbani figli appunto di una visione che, combinata con l’esperienza di milioni di anni vissuti sulla Murgia (la zona archeologica delle grotte che, come forma urbis rupestre insiste di fronte alla forma urbis palazziata di Matera) ha prodotto seimila anni di vita in comune senza nemmeno un giorno di guerra. Non solo. 

La visione di quelli che chiamiamo trogloditi ha prodotto forme pittoriche abitabili ma anche il pane più bello e buono del mondo. Una forma non più perfettibile ma dal gusto sempre diverso e infinito che richiama la Murgia, appunto; il luogo in cui viene coltivato il grano che serve a fare il pane. Dario Carmentano portò il pane di Matera in forma inedita da 150 grammi alla Biennale di Venezia del 1999, presentandolo come scultura antropologica identitaria del territorio. Erano i tempi di Harald Szeemann. Lo guardi e vedi Matera nella sua globalità, forma urbis e forma rupestre non distinguibili. Lo assaggi e gusti Matera in entrambe le forme, ancora una volta. Chi può dire dove sia il confine. Solo amministratori senza visione potevano separare Matera dalla madre Murgia, come se non ci avessero consegnato un territorio intatto e armonico, cosa che noi non stiamo facendo. Chi è il troglodita e quale confine si dà tra forma urbis e forma rupestre se la vita scorre lenta e felice in entrambi i contesti. 

Presumiamo, anzi osserviamo con gli 8 sensi, che proprio i sensi tradizionali e gli altri tre, seimila anni fa, hanno dato vita a un alveare perfettamente disegnato a sezione aurea e poi reso abitabile proprio da quel disegno. Chiunque vivrebbe in armonia in un’opera d’arte riuscita, e così è stato. Ma a costruire i Sassi non furono gli artisti, e non c’era il confine della firma; era ed è un’opera collettiva e connettiva. Non a caso la forma di alveare contiene l’esagono, dove le api vivono serenamente a milioni. Le case dei Sassi, inoltre, sono spesso esagonali ma irregolari, segno, come Filippo Riniolo fa dire a Pitagora nella sua opera scultoreo sonora “Rapporti”, ideata e realizzata per il progetto Matera Alberga, unico patrimonio contemporaneo permanente rimasto alla città dopo Matera2019, che l’ordine non è armonia, e l’umano non è ordine. Nei Sassi non c’è una sola strada che sia lineare eppure tutti sanno dove andare: senza confini ognuno trova la sua strada. Anzi, la Via.

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