Prisca fides, rupta fides?

Autore

Alessandro Cesareo
Alessandro Cesareo, studioso di Lettere Classiche, Scienze Religiose, Storia della Chiesa, ha conseguito diversi titoli accademici presso le università di Roma La Sapienza, di Perugia e di Madrid. Attualmente è docente di Letteratura religiosa comparata, Storia della Chiesa moderna e contemporanea, lingua latina e lingua greca presso l'Istituto Superiore di Scienze Religiose Fides et Ratio di L'Aquila, collegato alla Pontificia Università Lateranense. E' inoltre autore di diverse monografie sugli autori classici e sulla metodologia di insegnamento delle lettere classiche, ambito al quale ha dedicato diversi sforzi di ricerca e sperimentazione.

Incisivo ed estremamente chiaro il messaggio che, ancora una volta, il mondo classico, nella fattispecie latino, diffonde in merito alla stabilità e alla durevolezza dei legami, affettivi o sociali che siano, e alla durevolezza e alla stabilità dei quali è bene fare esplicito riferimento (il titolo rimanda a Silio Italico, poeta d’età flavia ed autore dei Punica, ovvero il più esteso poema in lingua latino, pari a ben 12.000 versi suddivisi in 17 libri. Cfr, in particolare, Silio Italico, Punica, III, 1-14).

Comprendere appieno il significato e l’importanza di tutto ciò che è antico (antiquus, priscus, vetus) significa, infatti, riconoscere a questa categoria un indubbio valore d’immortalità in virtù del quale un rapporto basato sulla vera fides, da intendersi non soltanto nell’accezione di fiducia interpersonale, ma anche, ed in maniera più chiara, di coordinata civile ed istituzionale, riesce a sfidare i secoli e a non subire  fraintendimenti o, peggio ancora, inganni o fratture di sorta. 

Va infatti detto che forse in nessun altro ambito, se non in quello del mondo antico, si  è scelto deliberatamente di attribuire tanta importanza e visibilità a questa visione verticale che, fondando la pax su di una dimensione prevalentemente etico-religiosa, concorresse a far scaturire una parallela idea di fides e di stabilità civile di cui, se vogliamo essere sinceri,  persino il così evoluto ed apparentemente autosufficiente mondo contemporaneo avverte, soprattutto oggi,  un’infinita esigenza, ma a difesa e a tutela della quale non pare in realtà impegnarsi  più  di tanto.

 In tale ambito, il tema della pax deorum, esplicitamente riconducibile ad un altro, importantissimo ambito di riflessione qual è quello della religio licita, costituisce, in caso di conservazione e di mantenimento dell’autenticità e della durevolezza del foedus amicitiae posto alla base della convivenza civile, il nucleo più autentico di quella che potremmo agevolmente definire come esempio di vera  concordia ordinum, sulla quale diventa quindi agevole fondare, al tempo stesso, un ragionevole equilibrio sociale e la pax hominum. 

Essenziale si rivela, in tal senso, il profilo e l’operato dell’homo sacer, cui viene solennemente affidato, stante l’ideale di humanitas cui egli è solito richiamarsi, il delicato compito di vegliare sullo ius ex fide bona, pietra miliare della romana civitas, nonché elemento indispensabile per legittimare i fondamenti del diritto, tanto arcaico, ed in tal senso il riferimento alle Leges Duodecim Tabularum è d’obbligo,  che classico, sul quale si fonda, peraltro, e non solo nel cuore dell’età repubblicana, l’inequivocabile grandezza del Popolo Romano.  

Gettando un po’ più in là lo sguardo, inoltre, non potremo non riconoscere, in piena età tardoantica, l’importanza del ruolo svolto, in tal senso, dal ponderoso sforzo di riorganizzazione e di connessa riqualificazione del diritto romano promosso e realizzato da Giustiniano con il suo Corpus iuris civilis. Colossale operazione, quest’ultima, grazie alla quale l’effettiva continuità dei principi diviene realtà effettuale, consentendo di stabilire un vero intreccio tra mondo arcaico, mondo classico e tardoantico.

Indimenticabili risultano, in tal senso, i versi a lui dedicati da Dante nel canto VI del Paradiso, laddove Giustiniano è collocato, e stiamo parlando esattamente del cielo di Mercurio, riservato a chi nella vita terrena non ha disdegnato la gloria e l’onore, ma che ha nel contempo saputo e voluto trarre da tale dimensione degli importanti spunti per ridisegnare un ordo socialis consono all’epoca ed al contesto di riferimento.

Leggiamo dunque in Dante (Paradiso VI, 10-12):

 Cesare fui e son Iustinïano,

che, per voler del primo amor ch’i’ sento,

d’entro le leggi trassi il troppo e ‘l vano

 il che starebbe a testimoniare e a dimostrare, tanto in ambito teorico che pratico, l’importanza ed il valore emblematico della fides su cui si fonda e si radica il foedus posto alla base di molteplici aspetti ed azioni che contraddistinguono l’andamento del mondo antico, romano praesertim. 

Soltanto da un patto stabile, oppure da una visione politica unitaria, può derivare un equilibrio sociale destinato ad affrontare le contraddizioni e le crepe che il trascorrere del tempo e le difficoltà ad esso connesse comportano.  Che poi la nostra epoca, caratterizzata da profonde divisioni e da laceranti contraddizioni, ne abbia un profondo bisogno è qualcosa di noto a tutti. Tutto sta a rendere davvero realizzabile questa più che legittima aspirazione alla fiducia reciproca che portiamo dentro di noi.

Auguriamoci che questa particolare conquista derivante dal mondo antico diventi anche una nostra priorità e che ci aiuti, nel contempo, a costruire una società migliore, un mondo più umano.

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