Lo pneumatico della volgarità

Autore

Claudio Piersanti
Claudio Piersanti (laureato in Filosofia a Bologna) ha pubblicato quasi tutti i suoi libri (romanzi e racconti) con la Feltrinelli. Il suo primo romanzo, Casa di nessuno, è uscito nel 1981. Alcuni, più volte ristampati in Italia,  hanno ottenuto premi (Viareggio, Vittorini ecc) e sono stati tradotti in molti paesi. Tra questi: L’amore degli adulti, Luisa e il silenzio, L’appeso, Stigmate (un libro a fumetti realizzato con Lorenzo Mattotti) e il recente La forza di gravità (2018). Recentemente ha cambiato editore, e il suo nuovo libro (Quel maledetto Vronskij) uscirà nel marzo 2021 presso Rizzoli. È stato a lungo anche sceneggiatore lavorando per il cinema (soprattutto con Carlo Mazzacurati) e  la televisione. Ha diretto per anni La rivista dei Libri (ediz. Italiana della New York Review of Books). 

La volgarità abita nelle parole, ma certo ha molte altre case. La volgarità è naturale come tutto il resto. Ci sono margherite, violette, rose addirittura, ma c’è anche gramigna. Sarebbe interessante ricostruire il trionfo di questo cacofonico articolo determinativo “lo”(in sé incolpevole! ho un grande rispetto per tutti gli articoli, determinativi e indeterminativi) davanti alla povera consonante “p” di pneumatico, o di pneumologo, mestiere attualmente tornato di moda. Volgare è reclamare delle regole già infrante di comune accordo. Gli scrittori scrivono (e spero continueranno a scrivere) il pneumatico. Scusa, cambio lo pneumatico; scusa mi presti lo trattore? Che la regoletta grammaticale esistesse anche prima spero non sia sfuggito agli esperti. Entriamo nel vasto mondo delle eccezioni. La minima pratica della lingua inglese dovrebbe suggerirci qualcosa. Le parole non sono solo scritte: le dice una bocca, e le parole le ascoltano le orecchie che, come è noto, dovrebbero essere ben connesse alle più nobili attività corticali. Perché è meglio scrivere “i pneumatici”? Perché lo scriveva Calvino, ecco perché. E anche gli altri scrittori. Le lingue non sono di competenza esclusiva dei linguisti, che le osservano, spesso acutamente: sono i poeti che fanno le lingue. Non i ministeri, non altre categorie di scriventi assistite dallo Stato, non i pubblicitari, che un tempo si facevano rientrare tra i creativi. Negli anni ’80 nelle feste ti presentavano pittori, registi, pubblicitari…  Come fossero artisti! Ecco un’altra parola volgare: “creativi”. Anche nelle aziende i quattro ragazzetti dell’ufficio immagine erano “i creativi”. Lasciamo stare certe parole. La creazione è attività di livello, come raccontano i testi sacri, consiste (appunto) nel creare dal nulla. Si dovrebbe anche pensare a questo “nulla”. Ma è davvero un nulla? A volte certe parole (anche e soprattutto quelle sacre) diventano volgari uscendo dal loro ambito naturale. Pensiamo alla parola “poesia”. Una canzonaccia qualsiasi magari lacrimosa: è una poesia! Una banale cartolina con tramonto: poesia. Bob Dylan: poesia. È tutto poesia. Niente è poesia. Infatti la poesia si nasconde in questo niente. Perché chi pronuncia questa parola semplicemente ne ignora il significato. La parola “poesia” diventa insomma l’ennesimo insulto ai poeti. Per non parlare della parola “scrittore” (che ormai è destinata al mondo delle parole composte: giornalista e scrittore, magistrato e scrittore). Mandel’štam non voleva essere definito scrittore. Si sentiva più scultore di parole, ma mai lavoratore da scrittoio. Forse si considerava un “creativo”? Un’ultima parola volgare (che poi è una lettera): schwa, cioè la e rovesciata che elude tutti i generi. Ripeterò un aneddoto famoso. Un giorno un poeta romano, pensando di farle un complimento, definì Elsa Morante “grande poetessa”. Lei gli rispose così: “Al mondo ci sono poeti come me e poetessi come te”. Credo non sia necessario aggiungere altro.   

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