Pensiamo già oggi alla Scuola di Domani. Nel Post Pandemia avremo bisogno di un modello di scuola nuovo che abbia al centro tutto ciò a cui i bambini stanno rinunciando. Iniziamo a progettarlo ora.

Autore

Andrea Donegà
Direttore delle sedi Enaip di Lecco, Monticello Brianza e Morbegno, impegnato nella formazione professionale con giovani e adulti. Un passato da educatore che ha preceduto 15 anni di impegno sindacale che lo hanno portato a ricoprire la carica di Segretario Generale della Fim Cisl Lombardia e di responsabile nazionale dei giovani metalmeccanici con i quali ha organizzato diversi campi di lavoro nei terreni e nei beni confiscati alla camorra nel casertano, approfondendo le conoscenze su economia civile e agricoltura sociale. Laureato in Sociologia in Bicocca, da sempre impegnato nel sociale, ha vissuto molte esperienze di volontariato negli orfanotrofi rumeni con l’associazione fondata da don Gino Rigoldi “Bambini in Romania” la prima delle quali, a 18 anni, fu decisiva per l’ingresso nel mondo degli adulti e la presa di consapevolezza del valore dell’impegno civico che, da allora, ha sempre coltivato. Oggi è componente del Direttivo dell’Associazione Amici Casa della Carità e attivista della Fondazione SON – Speranza Oltre Noi, realtà che lavora sul tema delle fragilità e del “dopo di noi”. Cofondatore di Passion&Linguaggi, collabora con il mensile Mosaico di Pace ed è autore del libro “Don Colmegna: al centro dei margini”. Nato a Como il 26/11/1981, convive con Francesca ed è papà di Carlotta, Tommaso e Samuele e genitore affidatario di Jason.

Introduzione

Questo mio articolo nasce dalla necessità di voler condividere alcuni pensieri maturati durante questi due anni di pandemia, in particolar modo sulla condizione delle bambine e dei bambini, dei ragazzi e delle ragazze. Il dibattito pubblico, e politico, di questi due anni si è diviso solo su quali misure adottare per contrastare la diffusione del Coronavirus, per attenuare i suoi danni, soprattutto economici, e su come “ripartire”. Al di là di qualche annuncio, soprattutto attorno alla speranza di un qualche effetto curativo, o miracoloso, del PNRR –  già ridimensionato dalle paure sul prosieguo della legislatura e sulla capacità della nostra classe politica di mettere in fila tutti i passi necessari alla sua attuazione, oltre dalla possibile revisione al ribasso dei fondi erogati in quanto l’Italia è cresciuta più delle attese – ciò che manca, una volta ancora, è la progettazione del futuro. Quello che dobbiamo cercare non è una nuova normalità, né una ripartenza o una ripresa perché sappiamo già tutti, benissimo, cosa accadrà di nuovo se ripartiremo con gli stessi schemi e gli stessi strumenti battendo le solite strade. Un esercizio di democrazia che dovremmo fare anche, e soprattutto, sulla scuola che, fino ad oggi, è rimasta schiacciata tra chi la vuole aperta e chi, invece, l’avrebbe voluta tenere chiusa più a lungo – legittimamente, se stiamo ai numeri dei contagi – senza però avere il coraggio di rendere obbligatorio il vaccino. La mia tesi è che questa deve essere l’occasione per immaginare, progettare e costruire oggi un modello nuovo di scuola per domani. E dobbiamo farlo già adesso in modo da essere pronti quando l’emergenza sarà passata, pur nella consapevolezza che dovremo imparare a convivere con queste pandemie, conseguenze di un modello di sviluppo che ha stressato l’ambiente causando degli sconvolgimenti irreversibili. Ho cercato di rappresentare la situazione attuale, analizzando le conseguenze che il Covid ha avuto sull’allargamento delle disuguaglianze, dal momento che, nei suoi effetti, è stato tutt’altro che democratico avendo picchiato duro sui più deboli e fragili. Ci sono dati e ricerche, citate nell’articolo, che sottolineano le difficoltà e le costrizioni che i bambini stanno vivendo in questi anni di pandemia che hanno ripercussioni tanto dal punto di vista dei ritardi nell’apprendimento quanto sul lato dei disturbi psichici. Con conseguenze maggiori per chi ha disabilità, fisiche e psichiche, e per chi proviene da famiglie a basso reddito. La scuola, nostra fucina di democrazia e di cittadinanza attiva e consapevole, merita quella radicalità capace di generare l’inedito. Abbiamo bisogno di una scuola che vada oltre i luoghi dell’apprendimento impegnandosi, attivamente, per tutelare e rigenerare la salute, il benessere fisico e mentale e lo sviluppo sociale dei nostri ragazzi. Una scuola che possa essere aperta tutto l’anno, per recuperare – a pandemia finita – i ritardi accumulati e per essere più funzionale a un modello socio-economico non più compatibile con chiusure estive prolungate che aggravano le esigenze dei genitori lavoratori di conciliare vita e lavoro. Una scuola nuova fondata su tutto ciò a cui i bambini hanno dovuto rinunciare e a cui continuano a rinunciare: relazioni, socialità, sport, teatro, biblioteche, musica, cinema e supporto psicologico. Ecco perché ce la dobbiamo fare.

  1. Senso di ingiustizia

«Ma dai! Ho fatto anche il vaccino! Non è giusto!». In queste parole di Tommaso – 7 anni, con doppia dose vaccinale – non ci sono solo tristezza e senso di ingiustizia davanti all’ennesimo stop ai suoi allenamenti di calcio – dopo aver dovuto rinunciare a giocare le partite di campionato in questi due anni – ma anche la cifra del prezzo, altissimo, che i bambini stanno pagando in quest’epoca infinita di pandemia. Scrivo queste righe mentre Samuele, 9 anni con doppio vaccino e negativo al tampone, ha appena finito altri 10 giorni di lezione a distanza dopo che la sua classe è stata messa in quarantena e Carlotta, 5 anni a marzo, ha passato precauzionalmente dei giorni a casa prima di fare il tampone (negativo) perché nel suo gruppo di ginnastica artistica si è registrato un caso di positività.

2. Il benessere dei bambini è finito in lockdown

Da tempo è l’emergenza a dettare l’agenda e i ritmi di questa estenuante rincorsa verso quella che molti continuano a chiamare la “nuova normalità”. Un termine che sa di resa e rassegnazione e che scalza la progettualità cedendo il passo all’incapacità di scegliere le priorità, in un’emergenza certamente inedita ma pur sempre vecchia di due anni e che quindi necessiterebbe di un dibattito alto per immaginare la ricostruzione sociale. Certo, la salute di tutti va messa al primo posto, anche per questo ci siamo vaccinati, a differenza del primo anno di pandemia quando il vaccino era solo una speranza. La vita delle persone viene al primo posto, nessun dubbio. Abbiamo conosciuto tutti almeno una persona morta di Covid. Abbiamo ancora tutti negli occhi, e stampato nel cuore, le carovane dei camion militari che trasportavano i tanti, troppi morti che, forse, avremmo potuto evitare. Rivendico con orgoglio, quando avevo la responsabilità di guidare la Fim Lombardia, la federazione dei metalmeccanici della Cisl, la scelta di proclamare lo sciopero dell’intera categoria a livello regionale, lo scorso 25 marzo 2020, per chiedere di fermare le attività non essenziali, scegliendo di mettere, al primo posto, la vita e la salute delle persone. Una scelta coraggiosa, inedita per il Sindacato proprio come inedito era il contesto. Occorre, sempre, ascoltare e accogliere la paura delle persone, un sentimento importante a cui dare speranza e forma positiva. Fu una vittoria che costrinse il Governo a modificare il pasticcio degli ormai famosi codici Ateco. Sono sempre stato a favore dell’obbligo vaccinale e ho criticato gli scioperi proclamati, la scorsa estate, contro le scelte di alcune aziende di vietare l’ingresso in mensa a chi non aveva fatto, o era contro, il vaccino. Ricordo tutto ciò a scanso di qualunque equivoco proprio perché ritengo la vita e la salute delle persone dei valori fondamentali e non negoziabili. Proprio per questo, oggi, mi chiedo se stiamo tutelando la salute e soprattutto il benessere, fisico e mentale, dei nostri piccini chiedendo loro sacrifici durissimi, in un contesto peraltro diverso da quello di un anno fa visto che, grazie al vaccino e a tutte le altre misure, abbiamo messo sotto controllo la pandemia anche se non siamo ancora usciti dall’emergenza e non dobbiamo abbassare la guardia. Questo periodo ci impone un cambio di paradigma che passi dal concetto di sanità all’idea di salute, che guardi alle politiche sociali come politiche di salute e viceversa e consideri la persona nella sua interezza valorizzando il ruolo decisivo delle relazioni per il benessere della persona. L’idea, così intesa, di salute dei nostri bambini , invece, è stata continuamente messa in lockdown. Occorre certamente spingere sull’acceleratore, arrivando anche a imporre il vaccino ai più piccoli. Chi ha dubbi sull’efficacia dei vaccini dovrebbe guardare l’andamento dei contagi per fascia di età per scoprire il decremento di positivi tra i ragazzi dai 14 ai 18 anni, che hanno un alto tasso di vaccinati, l’aumento meno consistente rispetto alle altre nella fascia dagli 11 ai 13 anni e, invece, l’impennata dei contagi tra i più piccoli ovvero i bambini delle elementari e delle scuole materne¹. 

Al 18 gennaio 2022, nella fascia di età 5-11 anni solo il 5,2% aveva fatto il ciclo completo vaccinale, il 19,9% aveva solo una dose mentre il 74,9% risultava non vaccinato. Degli 8,1 milioni di persone senza nemmeno una dose di vaccino, 2,74 milioni appartengono proprio a quella fascia di età, contro i 760 mila della fascia 12-19 anni e i 2,06 milioni di over 50². Non è quindi un caso se nelle scuole primarie il numero di contagi sia  tornato a salire, rendendo legittima la richiesta dei presidi di chiudere la scuola, o di rinviarne l’apertura dopo la pausa natalizia, per limitare i contagi ed evitare i picchi.

3. Il Covid ha colpito i più fragili

Tuttavia, mi corre l’obbligo precisare che dobbiamo immaginare già ora come costruire un modello di scuola nuovo che ci consenta di restituire ai bambini tutto ciò che hanno perso o a cui hanno dovuto rinunciare, tutto ciò che stanno continuamente perdendo e a cui continuano a rinunciare, una volta che la pandemia sarà rientrata, pur sapendo che sarà un qualcosa con cui dovremo convivere anche in futuro, consapevoli che molto probabilmente arriveranno nuovi virus, conseguenza di un modello di sviluppo che ha stressato l’ambiente causando degli sconvolgimenti irreversibili. 

Un’indagine promossa da Fondazione Soleterre e dall’Unità di Ricerca sul Trauma dell’Università Cattolica di Milano (dicembre 2020), riporta che il 17,3% dei giovani dai 14 ai 19 anni pensa “quasi ogni giorno” o “per più della metà dei giorni” che sarebbe meglio morire o farsi del male, a causa del dolore che la vita provoca. David Lazzari, presidente dell’Ordine degli Psicologi, conferma questi dati che trovano «riscontro in tutte le indagini fatte in questo periodo. Sono raddoppiati i disturbi dello sviluppo, di ansia e depressione, del comportamento, ma soprattutto c’è una condizione di malessere psicologico molto diffuso. La metà dei giovani guarda al futuro con pessimismo, senza speranza. E’ una delle conseguenze della pandemia che però ha amplificato il disagio psicosociale già presente nei giovani. Le cause sono varie, la mancanza di socialità e le insicurezze e i problemi, anche nelle famiglie, causate dalla pandemia. I giovani sono disorientati rispetto ad una società complessa che li bombarda di stimoli contrastanti, che non aiuta la loro psiche. La pandemia ha gettato benzina su un fuoco già acceso. Ora questo disagio, se non ascoltato, inciderà sul loro sviluppo. Stiamo compromettendo il futuro di queste generazioni³».

Certo, non tutto è avvenuto a causa del Covid. La pandemia ha squarciato il vello alle contraddizioni e insufficienze della nostra società, accelerando alcuni processi disgreganti, finendo per allargare le disuguaglianze visto che, nei suoi effetti, è stato tutt’altro che democratica avendo picchiato duro sui più deboli e fragili: le donne, già penalizzate rispetto agli uomini nel lavoro, sono state costrette in diversi casi a dimettersi per occuparsi dei figli durante la chiusura delle scuole, sperimentando solitudine e, molte volte, disperazione; la mancanza di un’adeguata copertura internet nel Paese si è trasformata, tanto per il lavoro da casa quanto per la DAD, in un’altra causa di disparità tra chi può contare su connessioni prestanti e chi ha un accesso difficoltoso o deve usare il cellulare come hotspot e chi, ancora, internet non può permetterselo; la nostra legislazione sul lavoro ha dimostrato di non essere al passo coi tempi, rendendo complicata la conciliazione vita-lavoro proprio in un momento in cui è diventata fondamentale, allargando le disparità tra chi lavora in grandi aziende, magari sindacalizzate, e chi, invece, si trova in piccole medie imprese che, ricordiamo, sono la maggioranza del nostro tessuto produttivo; le lezioni a distanza hanno dimostrato di funzionare un po’ meglio nelle famiglie istruite, con genitori in grado di seguire i figli, e hanno fatto emergere il divario tra chi aveva a disposizione più dispositivi elettronici, da dividere tra le esigenze scolastiche dei ragazzi e quelle dei genitori in smartworking. La DAD, che certamente è stata meglio di nulla, ha avuto, e sta avendo, conseguenze nefaste sulla psicologia dei bambini e sul valore degli apprendimenti, come dimostrano diverse ricerche, a cui va aggiunto il disagio di studenti, famiglie e insegnanti; i bambini con disabilità hanno sofferto maggiormente il confinamento in casa, vanificando gli avanzamenti terapeutici; la chiusura delle scuole, specie nelle periferie del Paese dove la frequenza scolastica rappresenta per molti ragazzi l’alternativa a un percorso di emarginazione, ha presentato il conto ai figli delle famiglie più fragili dal punto di vista culturale, economico e sociale vanificando anni di lotta alla dispersione scolastica, tuttora una delle nostre emergenze. A Napoli, l’Associazione Maestri di strada Onlus, da anni impegnata in questo campo, ha lanciato in piena pandemia il “pacco viveri per la mente”, donando a ragazzi svantaggiati quaderni, colori, album da disegno, cancelleria, pasta modellabile, e tablet con sim convinti che sia «un modo per dare un segnale tangibile ai bambini e ai ragazzi, per dire loro che non sono soli o abbandonati. È fondamentale continuare ad alimentare, dare da mangiare alla mente. L’isolamento psichico, alla lunga, può diventare più grave di quello fisico» sostiene Cesare Moreno⁴. Il tutto in un Paese dove le disuguaglianze vengono ereditate e le difficoltà dei genitori condizionano il futuro dei figli: riesce a laurearsi solo il 12% dei ragazzi che nascono in famiglie poco istruite⁵, dove scarsa istruzione coincide, spesso, con condizioni di povertà. Inoltre, andare a scuola per molti bambini nati in famiglie a basso reddito ha spesso rappresentato l’occasione per avere almeno un pasto completo al giorno ma, se leggiamo l’ultima edizione dell’Atlante dell’Infanzia a rischio, curato da Save the Children Italia, emerge un dato drammatico, anche sotto questo aspetto, che riguarda il nostro futuro: «Nel 2020, con la chiusura prolungata di scuole e mense, la povertà alimentare potrebbe aver colpito ancora più bambini in condizioni svantaggiate (nel 2019 erano il 6% dei minori tra 1 e 15 anni). Confrontando la spesa mensile (stimata dall’Istat) delle famiglie più abbienti e meno abbienti con figli minori, nel 2020, le disuguaglianze sono evidenti; […] disparità quindi soprattutto nella qualità del cibo acquistato e consumato, che diventa anche disparità nelle condizioni di salute e di benessere fisico, e di qualità della vita dei bambini. Se consideriamo, poi, che le famiglie più povere possono destinare all’istruzione e allo sport dei figli somme irrisorie rispetto alle famiglie benestanti, visto che la spesa mensile per la casa (affitto, mutuo, bollette) occupa gran parte del loro bilancio familiare, è chiaro che le possibilità di condurre un sano stile di vita per questi bambini dipende fondamentalmente dalle opportunità accessibili offerte dalla scuola e dal territorio in cui crescono».

4. Agire sui determinanti della salute dei bambini

La letteratura esistente e la ricerca scientifica su questo tema ci dicono che i provvedimenti e le restrizioni fin qui attuati, se da un lato hanno contribuito a rallentare gli esiti pandemici rispetto all’inizio dell’emergenza, dall’altro hanno finito per intervenire  in modo negativo, e in troppi casi irrimediabile, sui determinanti della salute dei bambini: limitazione nell’accesso a un’istruzione di qualità, alla socialità, alle relazioni e alle attività sportive; difficoltà di accesso alla sanità perché diversi genitori, vinti dalla paura di contrarre il virus, hanno deciso di limitare le cure per i propri figli, interrompendo percorsi riabilitativi e assistenziali. L’Economista Fabio Sdogati, attento alle dinamiche della pandemia fin dall’inizio del 2020, ci ricorda come il Covid, dal punto di vista economico, si sia manifestato inizialmente sotto forma di shock dell’offerta, partito con il blocco delle attività produttive, per arrivare poi allo shock da domanda causato dalla caduta dei redditi delle persone a seguito del blocco delle attività produttive stesse⁶. Non ci deve sorprendere, quindi, che il conseguente aumento della povertà e dei tenori di vita si sia scaricato su una diminuzione delle possibilità per i figli delle famiglie più colpite, traducendosi in un crollo del benessere alimentare, in difficoltà nel mantenere un’abitazione dignitosa, nell’aumento delle violenze domestiche. L’energia dei bambini e la loro voglia di mangiare il mondo si sono fermate davanti alle troppe porte che si sono visti sbattere in faccia. A restare schiacciati tra l’incudine e il martello di un presente ovattato nell’incapacità di immaginare altri mondi possibili sono stati soprattutto i bambini con difficoltà fisiche, psichiche o di apprendimento che stanno rimanendo sempre più indietro, vedendo allargare il gap nei confronti dei coetanei che invece non hanno queste problematiche o che vivono in famiglie con maggiori risorse e opportunità, o semplicemente più tempo da dedicare loro. Ma il benessere dei bambini non può essere derubricato a una questione di semplice fortuna – c’è chi può e chi non può: io può! Direbbe Totò – o alla stregua della solita tronfia e cinica lotteria della nascita, quando dovrebbe essere l’impegno, la preoccupazione e la priorità di tutti e della Politica, nonché la via indicata dall’articolo 3 della nostra Costituzione. Il Professor Alessandro Rosina spiega che «Il modo più chiaro per una società di dimostrare di non credere nel proprio futuro è semplicemente quello di non investire sulle nuove generazioni⁷».

E invece, sono saltate anche le attività parallele e complementari alla scuola, quelle educative, ricreative e di sostegno. In un Paese dove le lacune e le carenze della scuola, o lì  maturate, venivano supplite dalle famiglie con scelte individuali, come ad esempio, ripetizioni e dopo scuola, il Covid con le sue restrizioni ha spazzato via anche questa diga e così il fiume delle disuguaglianze ha straripato travolgendo, ancora una volta, gli ultimi e i fragili, coloro i quali meriterebbero, invece, maggior riguardo. Certo, si tratta di scelte politiche che rientrano nel campo delle risposte organizzate dai vari stati, senza alcun coordinamento europeo né, tantomeno, mondiale, quando invece la pandemia ci ha dimostrato di essere molto più interconnessi rispetto a quanto credevamo tanto nel lavoro e nell’economia quanto nelle relazioni. E così ogni paese ha messo in campo le proprie strategie, producendo sperequazioni economiche e sociali e aggiustamenti improvvisati per non perdere terreno nella competizione globale. 

Tuttavia, se non dobbiamo rassegnarci a quella che tanti chiamano la nuova normalità non possiamo non vedere la nuova realtà che i bambini stanno affrontando.  I lockdown e la didattica a distanza hanno anche aumentato le ore che i bambini trascorrono davanti ai dispositivi digitali con affaticamenti della vista e principi di dipendenza digitale. Il distanziamento interpersonale ha dato un altro colpo alle relazioni e alla socialità dei bambini che hanno perso il valore della prossimità come opportunità e possibilità di “sortirne insieme”⁸ e hanno visto il prossimo diventare il pericolo da cui difendersi, imparando anche che se vogliono tutelare gli altri e i più deboli devono tenersi alla larga. Hanno perso la bellezza delle relazioni intersoggettive sulle quali si fonda la consapevolezza necessaria e determinante per riconoscerci tutti dentro un destino comune che abbiamo la forza di determinare e non di subire. Non festeggiano più i compleanni con i loro amichetti e nascondono il calore e il conforto dei sorrisi sotto le mascherine. Hanno perso il piacere dello sport con conseguenze anche dal punto di vista della salute e delle capacità motorie. Anche il gioco all’aperto è stato picconato da questi anni di pandemia, togliendo un momento di svago e la possibilità di scaricare energia e tensioni. Hanno imparato la normalità e la banalità delle rinunce, alimentate dall’autoconvincimento continuo che sia normale fare a meno anche di ciò che, invece, è fondamentale per il loro pieno sviluppo. Nel nome di un’emergenza che continua a essere solo sanitaria, e cioè improntata al contenimento del rischio di propagare contrarre il virus, di tutelare i fragili e di tenere giustamente sotto controllo le terapie intensive, le misure adottate hanno avuto meno attenzione alla salute, ovvero al benessere complessivo della persona, finendo per abituare le bambine e i bambini  all’apatia e alla noia.


5.Interruzioni dell’apprendimento e impatto sulla salute mentale

Ormai tutte le ricerche concordano nel dire che tutto ciò sta avendo effetti negativi sulla salute dei bambini, facendo registrare aumenti di casi di autolesionismo e violenza. Anche l’Unicef, tramite il proprio responsabile per l’istruzione Robert Jenkis, lancia l’allarme che, evidentemente, non riguarda solo, come abbiamo capito, le interruzioni dell’apprendimento: «Le conseguenze della chiusura delle scuole sono aumentate. Oltre alla perdita di apprendimento, la chiusura delle scuole ha avuto un impatto sulla salute mentale dei bambini, ha ridotto il loro accesso a una fonte regolare di alimentazione e ha aumentato il rischio di abusi. Un numero crescente di dati dimostra che il Covid-19 ha causato alti tassi di ansia e depressione tra i bambini e i giovani, e alcuni studi hanno scoperto che le ragazze, gli adolescenti e coloro che vivono in zone rurali hanno maggiori probabilità di sperimentare questi problemi. Più di 370 milioni di bambini nel mondo hanno perso i pasti scolastici durante la chiusura delle scuole, perdendo quella che per alcuni bambini è l’unica fonte affidabile di cibo e nutrizione quotidiana»⁹. 

Tapparsi le orecchie davanti a questo grido silenzioso di emergenza significa staccare cambiali a nuove ingiustizie che si consumeranno su vari fronti, anche in termini economici: quanto pesano, in termini di PIL, due anni di scuola singhiozzante? E la dispersione di competenze? E le relazioni svanite? E la felicità incupita? Se non interessano le ragioni e le argomentazioni di chi persegue la giustizia sociale si ascoltino almeno le motivazioni economiche. Il 6 dicembre scorso, con un comunicato stampa da Washington, Banca Mondiale, UNESCO e UNICEF hanno presentato un report che stima che «questa generazione di studenti ora rischia di perdere 17 trilioni di dollari di guadagni durante tutta la loro vita nei valori correnti, ovvero circa il 14% dell’attuale PIL globale, a causa della chiusura delle scuole legata alla pandemia di COVID-19. La nuova proiezione rivela che l’impatto è più grave di quanto si pensasse in precedenza e supera di gran lunga le stime di $ 10 trilioni pubblicate nel 2020¹⁰».

Se la politica non riuscirà a tenere insieme gestione dell’emergenza e proposte per la ricostruzione sociale, continuerà a erigere su fondamenta di sabbia castelli di disuguaglianze pronti a crollare davanti a scossoni sociali anche nel futuro, aggiungendo macerie di ingiustizie sulle spalle delle giovani generazioni. È questo il tempo della radicalità delle scelte, della radicalità della Politica «che sia non violenta ma capace di sconfiggere le idee sbagliate, per evitare che i più giovani si affidino ad altri tipi di radicalità» come insegna don Virginio Colmegna. Quello che dobbiamo cercare non è una nuova normalità, né una ripartenza o una ripresa perché sappiamo già tutti, benissimo, cosa accadrà di nuovo se ripartiremo con gli stessi schemi e gli stessi strumenti battendo le solite strade. È qua che si apre la necessità di esplorare l’inedito perché è ormai evidente ciò che sostiene il Professor Ugo Morelli: «l’esistente è fallito, con i suoi numeri sempre orientati al di più è meglio, fatti di indifferenza, ingiustizia sociale, disuguaglianza e volgarità, distruttive dell’ambiente e della cultura, del paesaggio e della memoria. Solo l’immaginazione creativa ci può portare a un mondo possibile e vivibile». Fare i conti con il fallimento, dunque, oltre a tenere vivi pensiero e azione, ci mette davanti anche al concetto di limite. E questo vale in tutti i campi, che siano economici, sociali, lavorativi, ambientali e anche etici. Arriva il momento in cui l’asticella non è più spostabile e le scelte non più rinviabili: farlo vuol dire imboccare percorsi di non ritorno che finiranno per travolgere anche chi quell’asticella l’ha spostata e quella scelta l’ha rinviata. Il Covid è solo l’ultimo prodotto del fallimento del nostro modello economico e sociale. 

6. Dobbiamo pensare oggi alla scuola di domani

Stiamo vivendo una crisi inedita, tanto nella sua durezza quanto nei suoi effetti. Non possiamo chiudere gli occhi perché questa emergenza ha già cambiato le nostre abitudini tanto che tutti concordano nel dire che nulla, dopo, sarà più come prima. Ci cantava De Andrè che dal “letame nascono i fior” e, quindi, è proprio in momenti come questi che occorre piantare i semi del cambiamento. Ciò che saremo dopo dipenderà da noi, da ciò che faremo per realizzare ciò che dobbiamo, per prima cosa, sforzarci di immaginare. Un nuovo inizio che si differenzi negli esiti, nei progetti, nelle condivisioni e nei sogni dalla semplice ripartenza che, invece, mantiene fisse meta e rotta, aggiungendoci semplicemente più tempo. E allora, tenendo insieme gestione dell’emergenza e costruzione di prospettive e bisogna iniziare a progettare ora, esattamente come nel ’43 già si progettava il Paese che sarebbe stato dopo la guerra, gettando le basi per la Costituzione che sarebbe arrivata senza sapere quando.

Secondo i dati delle Nazioni Unite «l’entità del numero di bambini che hanno perso la scuola durante la pandemia è “quasi insormontabile”. Fino al 70% dei bambini di 10 anni nei paesi a basso e medio reddito non riesce a leggere un testo semplice, rispetto al 53% pre-Covid. In tutto il mondo, dall’Etiopia agli Stati Uniti, i bambini hanno perso le abilità di alfabetizzazione e matematica di base e la loro salute mentale e fisica ne ha risentito. Sono state riscontrate perdite di apprendimento negli Stati Uniti, inclusi California, Colorado, Tennessee, Carolina del Nord, Ohio, Virginia e Maryland. In Texas, nel 2021 due terzi dei bambini della terza classe (dagli otto ai nove anni) hanno registrato risultati sotto il livello di sufficienza in matematica, rispetto alla metà dei bambini nel 2019. In Etiopia, si stima che i bambini in età scolare abbiano appreso tra il 30 e il 40% della matematica che avrebbero imparato in un normale anno scolastico»¹¹. Giusto per citare ciò che sta avvenendo in giro per il mondo e a confermare che i figli di famiglie che hanno difficoltà economiche sono quelli ad avere le maggiori difficoltà. Come sempre, in tutti i campi.

Ecco perché la scuola, nostra fucina di democrazia e di cittadinanza attiva e consapevole,  ha bisogno di questa radicalità, ha bisogno di generare l’inedito. Una scuola che deve andare oltre i luoghi dell’apprendimento  impegnandosi, attivamente, per tutelare e rigenerare la salute, il benessere fisico e mentale e lo sviluppo sociale dei nostri ragazzi. Per questo, seppur nella Legge di Bilancio siano previsti 20 milioni per il supporto psicologico degli studenti e del personale scolastico, stride con tutto il contesto il fatto che, nel 2021 e nel 2022, non sia stato rinnovato il protocollo siglato nel 2020 tra Ordine Psicologi e Ministero, come ricorda il Presidente Lazzari:  «Quella iniziativa, finanziata con 40 milioni di euro, aveva portato psicologi nel 70% delle scuole. Non è un bel segnale, anche se ora arrivano questi 20 milioni. Quello che serve è prevedere una presenza strutturale di psicologi scolastici per intercettare i problemi e le situazioni precocemente, prima che si aggravino, e per promuovere le risorse degli studenti e dei docenti. Il sondaggio del Ministero sui presidi sulla presenza degli psicologi nell’anno scolastico 2020-21 ha dato un riscontro molto significativo. Si tratta di un aspetto fondamentale se si vuole essere vicini ai problemi dei giovani e aiutarli prima ancora di curarli¹²». È questa l’occasione per immaginare un modello di scuola diverso. Una scuola che in futuro possa essere aperta tutto l’anno, anche d’estate. Una scuola che possa immaginare come far recuperare il tempo perduto e aiutare i bambini con maggiori difficoltà e con disabilità, per scrollarsi di dosso il ritardo accumulato in questi anni singhiozzanti dando un supporto intensivo per recuperare l’istruzione persa. Una scuola aperta tutto l’anno, inoltre, è una scuola più compatibile con le esigenze del nostro modello sociale e lavorativo, più favorevole a una migliore conciliazione vita-lavoro. L’ONU ha individuato come obiettivo numero 4 dell’Agenda 2030 quello di  fornire un’educazione di qualità, equa ed inclusiva e opportunità di apprendimento per tutti, nella convinzione che un’istruzione di qualità sia la base per migliorare la vita delle persone e raggiungere lo sviluppo sostenibile.

7. Una scuola nuova fondata su tutto ciò a cui i bambini hanno dovuto rinunciare: relazioni, socialità, sport, teatro, biblioteche, musica, cinema e supporto psicologico

Le fondamenta di questa scuola nuova deve essere tutto ciò a cui i bambini hanno dovuto rinunciare durante la pandemia. Le loro rinunce devono diventare i trampolini del loro riscatto. Il senso del limite che si apre davanti a ogni fallimento deve diventare la frontiera di un nuovo orizzonte di benessere. Al centro di questo progetto dovranno quindi esserci: relazioni, socialità, sport, teatro, biblioteche, musica, cinema e supporto psicologico. Questi sono i pilastri su cui si regge una società integrata e inclusiva e quindi queste sono le opportunità che vanno garantite a tutte e tutti a prescindere dalla loro condizione di salute, di famiglia, di reddito, che invece, oggi, sono ancora le cause di molte rinunce involontarie per troppi bambini. Garantire pari opportunità nell’accesso a un’educazione integrale e di qualità è un diritto da estendere e rivendicare che consentirebbe di incidere positivamente sul contrasto alle disuguaglianze. Occorre farlo e farlo subito, sarebbe un delitto non agire e un peccato di indifferenza nei confronti delle sofferenze di questi anni di pandemia. È il ristoro generazionale che vogliamo, il miglior investimento che qualunque Governo possa garantire per il nostro futuro collettivo. Una siffatta riorganizzazione della scuola creerebbe anche occupazione perché ci sarebbe bisogno di assumere e stabilizzare parecchi insegnanti e potrebbe aprire una stagione di formazione di nuove competenze che il corpo docente merita per essere capace di trasformare i problemi di questi anni turbolenti in sfide entusiasmanti da vincere insieme, oltre a essere la via per meglio retribuire chi fa un lavoro tanto bello quanto fondamentale. Sarebbe utile, e urgente, aprire un dibattito su un modello di scuola nuovo, che metta al centro i bambini, le bambine, i ragazzi e le ragazze e il loro sviluppo e benessere completo. Sono i giovani i soggetti capaci, e titolati, a cambiare il mondo e la società. È sempre stato così. Il censimento del 1951 fotografava un’Italia dove i trentenni erano il 50% dell’intera popolazione e fu proprio quella generazione la protagonista del miracolo economico e della costruzione di nuovo benessere. «Oggi i giovani sono di meno, partono da condizioni di benessere maggiori rispetto alle generazioni passate, ma trovano meno spazio, soprattutto in Italia, per essere soggetti attivi di nuova crescita», ricorda Rosina. I giovani hanno, inevitabilmente e biologicamente, più energia e una visione molto più lunga rispetto agli anziani. Ma quando il numero di anziani avrà sovrastato quello dei giovani si apriranno scenari complicati, non solo il tramonto demografico. Sarà messa a rischio la tenuta del nostro sistema di welfare, si ridurrà la base lavorativa ma, soprattutto, sarà un problema di democrazia: in un Paese dove i partiti hanno una visione di brevissimo periodo, tesa all’autoconservazione piuttosto che alla ricerca di soluzioni impegnative e di prospettiva, quale potrà essere l’offerta politica quando la stragrande maggioranza di cittadini elettori avrà più di 70 anni?  Non si può, quindi, scegliere di non investire sui bambini e sui giovani. Non si può, quindi, non scegliere di investire sulla scuola. E se non ora, quando? I giovani hanno una straordinaria propensione per la creatività, la curiosità e l’innovazione, caratteristiche che vanno coltivate, rassicurate e liberate. 

8. Poter sbagliare per valorizzare la creatività e i talenti

«I paesi dovrebbero mettere in atto programmi di recupero dell’apprendimento con l’obiettivo di garantire che gli studenti di questa generazione raggiungano almeno le stesse competenze della generazione precedente. I programmi devono coprire tre linee d’azione chiave per recuperare l’apprendimento: consolidamento del curriculum; prolungare l’orario di insegnamento; migliorare l’efficienza dell’apprendimento. Per costruire sistemi educativi più resilienti a lungo termine, i paesi dovrebbero considerare di: investire in un ambiente favorevole per sbloccare il potenziale delle opportunità di apprendimento digitale per tutti gli studenti; rafforzare il ruolo di genitori, famiglie e comunità nell’apprendimento dei bambini; garantire agli insegnanti il ​​supporto e l’accesso a opportunità di sviluppo professionale di alta qualità; aumentare la quota dell’istruzione nell’allocazione del bilancio nazionale dei pacchetti di stimolo. In termini di miglioramento dell’efficienza dell’apprendimento, tecniche come l’istruzione mirata possono aiutare il recupero dell’apprendimento stesso, il che significa che gli insegnanti allineino l’istruzione al livello di apprendimento degli studenti, piuttosto che a un punto di partenza presunto o alle aspettative curriculari. L’istruzione mirata richiederà di affrontare la crisi dei dati di apprendimento valutando i livelli di apprendimento stesso degli studenti. Richiede inoltre un sostegno aggiuntivo agli insegnanti in modo che siano ben attrezzati per insegnare al livello in cui si trovano i bambini, il che è fondamentale per evitare che si accumulino perdite una volta che i bambini saranno tornati a scuola. In termini di miglioramento dell’efficienza dell’apprendimento, tecniche come l’istruzione mirata possono aiutare il recupero dell’apprendimento stesso, il che significa che gli insegnanti allineino l’istruzione al livello di apprendimento degli studenti, piuttosto che a un punto di partenza presunto o alle aspettative curriculari. L’istruzione mirata richiederà di affrontare la crisi dei dati di apprendimento valutando i livelli di apprendimento stesso degli studenti. Richiede inoltre un sostegno aggiuntivo agli insegnanti in modo che siano ben attrezzati per insegnare al livello in cui si trovano i bambini, il che è fondamentale per evitare che si accumulino perdite una volta che i bambini saranno tornati a scuola¹³», è questa la posizione di World Bank, UNESCO e UNICEF.

La scuola deve essere anche il luogo dove insegnare ai bambini a sbagliare e fallire, fuori dagli schemi precostituiti. Sapere di poter sbagliare e fallire è la miglior condizione per liberare la creatività e realizzare l’inedito. La paura di sbagliare e fallire, viceversa, paralizza e la nostra società ci ha insegnato a stigmatizzare gli errori fino a far diventare la scuola il luogo dove sbagliare sia la cosa peggiore che si possa fare. Questa piega porta la società a fermarsi e i bambini a essere incasellati in classifiche di intelligenza che rispondono solo alla capacità di apprendere o meno determinate materie, dimenticandosi che esistono tanti tipi di intelligenza che devono essere coltivati e non congelati in freddi quozienti intellettivi che determinano i percorsi futuri dei ragazzi, e quindi del paese, e non ci consentono di scovare e valorizzare i talenti. Picasso una volta disse che «tutti i bambini nascono artisti. Il problema è come rimanere un artista quando si diventa grandi». Ecco, dobbiamo essere in grado di mettere tutti i bambini nelle condizioni di sviluppare propri talenti. Questo è fondamentale, oggi, quando i cambiamenti nel lavoro e nella società richiederanno certamente capacità tecniche ma soprattutto la predisposizione all’apprendimento continuo, la capacità di apprendere e una predisposizione a farlo. Se è vero quel che dice il World Economic Forum e cioè che il 65% dei bambini che hanno iniziato le elementari nel 2017 farà un lavoro di cui oggi non conosciamo nemmeno il nome, significa che la portata del cambiamento è epocale e che dobbiamo preparare persone capaci di apprendere e predisposte all’apprendimento, valorizzando tutte le materie possibili perché ognuno possa trovare la sua giusta collocazione in quel futuro che dobbiamo immaginare.

Sir Kenneth Robinson, che è stato un educatore e scrittore britannico, spiega bene il punto della questione: «Il nostro sistema educativo si basa sull’idea di capacità accademica. E c’è un motivo. In tutto il mondo non esistevano sistemi pubblici di istruzione, in realtà, prima del 19° secolo. Tutti sono nati per soddisfare le esigenze dell’industrialismo. Quindi la gerarchia è radicata su due idee: la prima è che le materie più utili per il lavoro sono in cima. Quindi probabilmente sei stato benevolmente allontanato dalle cose a scuola quando eri un bambino, dalle cose che ti piacevano, perché non avresti mai trovato un lavoro per farlo. È giusto? “Non fare musica, non diventerai un musicista; non fare arte, non sarai un artista”. Consiglio benigno – ora, profondamente sbagliato visto che il mondo intero è inghiottito da una rivoluzione. Il secondo è l’abilità accademica, che è arrivata davvero a dominare la nostra visione dell’intelligenza, perché le università progettano il sistema a loro immagine. A pensarci bene, l’intero sistema di istruzione pubblica nel mondo è un lungo processo di ingresso all’università. E la conseguenza è che molte persone di grande talento, brillanti e creative pensano di non esserlo, perché le cose in cui eccellevano a scuola non erano apprezzate, o addirittura stigmatizzate. E penso che non possiamo permetterci di andare avanti in quel modo. Nei prossimi 30 anni, secondo l’UNESCO, più persone in tutto il mondo si diplomeranno attraverso l’istruzione rispetto all’inizio della storia. Più persone. Ed è la combinazione di tutte le cose di cui abbiamo parlato: la tecnologia e il suo effetto trasformativo sul lavoro, la demografia e l’enorme esplosione demografica. Improvvisamente, i gradi non valgono niente. […] Quando ero studente, se avevi una laurea, avevi un lavoro. Se non avevi un lavoro è perché non lo volevi. […] . Ma ora i ragazzi laureati vanno tornano a casa per continuare a giocare ai videogiochi, perché hai bisogno di un master per un lavoro che precedente richiedeva una laurea, e ora hai bisogno di un dottorato di ricerca per l’altro. È un processo di inflazione accademica. E indica che l’intera struttura dell’istruzione si sta spostando sotto i nostri piedi. Dobbiamo ripensare radicalmente la nostra visione dell’intelligenza¹⁴».

9.Educazione integrale del bambino per costruire classe dirigente

Ecco, la scuola che immagino per i miei figli deve occuparsi di tutto ciò, deve occuparsi dell’educazione integrale dei bambini, rispettando i tempi di apprendimento di tutti, sia di chi corre che di chi arranca, facendo assaggiare loro tutto, in modo che ognuno possa trovare la sua strada e scoprire il proprio talento e la propria creatività, dando a ognuno la possibilità di arrivare evitando le solite ed estenuanti corse al completamento dei programmi entro la fine dell’anno scolastico che lasciano sul campo solo frustrazioni e umiliazioni. Significa, anche, insegnare ai bambini il rispetto, significa insegnare loro a farcela in una logica inclusiva che non lasci indietro nessuno e che necessità di cooperare, collaborare e cercare alleanze, smontando la logica della competitività che contribuisce solo a creare cittadini funzionali a un modello di società sempre più individualista, competitiva e veloce. Don Lorenzo Milani, nella sua scuola di Barbiana, lo aveva capito benissimo e, soprattutto lo aveva praticato insegnando ai più grandi, e a chi era più avanti con l’apprendimento, a prendersi cura dei più piccoli e di chi stava più indietro perché la scuola non può essere il posto dove curare i sani e respingere i malati¹⁵, ma il luogo dove si recuperano i ragazzi in difficoltà. Un luogo dove si insegni ai ragazzi il piacere delle discussioni, dove accogliere tutte le idee e accettare tutte le critiche purché argomentate, come amava ricordare Giuseppe Stoppiglia. Possiamo farcela, rispettando il diritto alla salute di tutti e progettando nuovi orizzonti quando l’emergenza sarà finita, a patto che metteremo al centro del prossimo futuro i bambini che sono figli di tutti, della nostra società e non solo dei loro genitori. Sono il nostro domani. Stefania Giannini, Vicedirettore Generale dell’Istruzione dell’UNESCO, lancia la sfida: «Ci impegniamo a sostenere i governi più in generale nella loro risposta al COVID attraverso il piano Mission Recovery lanciato all’inizio di quest’anno. Con la guida del governo e il supporto della comunità internazionale, si può fare molto per rendere i sistemi più equi, efficienti e resilienti, sfruttando le lezioni apprese durante la pandemia e aumentando gli investimenti. Ma per farlo, dobbiamo fare dei bambini e dei giovani una vera priorità in mezzo a tutte le altre richieste della risposta alla pandemia. Il loro futuro – e il nostro futuro collettivo – dipende da questo»¹⁶.

Una scuola, insomma, che possa tornare a essere il luogo dove si costruisce cittadinanza attiva e consapevolezza sociale e dove si torni a formare la classe dirigente di questo Paese, assicurando quel ricambio generazionale necessario che sappia coniugare entusiasmo, coraggio e innovazione. Dobbiamo solo partire.

¹ Scuole Lombardia, picco di contagi e quarantene Covid in elementari e materne. Record nella fascia 3-5 anni: +80%. Stefania Chiale 19 gennaio 2022. milano.corriere.it

²  Elaborazione GIMBE su dati Ministero Salute, Commissario Straordinario COVIC-19. Aggiornamento: 19 gennaio ore 06.15.

³ Le conseguenze della DAD che facciamo finta di non vedere. Sabina Pignataro, 12 gennaio 2022. www.vita.it

⁴ Corriere del Mezzogiorno, 10 aprile 2020.

⁵ Lo studio Inapp, l’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche, anticipato il 1 marzo 2021 e pubblicato il 4 marzo sul nuovo numero della rivista scientifica Sinappsi.

⁶ Cfr. www.scenarieconomici.com

I paesi che non investono sui giovani non credono nel proprio futuro. Alessandro Rosina su passionelinguaggi.it 2 gennaio 2022.

⁸  Lettera a un professoressa. Don Lorenzo Milani.

L’impatto della pandemia, “perdita quasi insormontabile per la scolarizzazione dei bambini”. redattoresociale.it 24 gennaio 2022

¹⁰ MMission: Recovering Education 2021 by which the World Bank, UNESCO and UNICEF are focused on three priorities: bringing all children back to schools, recovering learning losses, and preparing and supporting teachers. 06 December 2021. www.unicef.org (mia traduzione).

¹¹ UN data reveals ‘nearly insurmountable’ scale of lost schooling due to Covid. The Guardian 25 January 2022 (mia traduzione).

¹² Le conseguenze della DAD che facciamo finta di non vedere. Sabina Pignataro, 12 gennaio 2022. www.vita.it

¹³ Mission: Recovering Education 2021 by World Bank, UNESCO, and UNICEF. www.unicef.org (mia traduzione).

¹⁴ Do schools kill creativity? Sir Ken Robinson ted.com 2006 (mia traduzione).

¹⁵Lettera a una professoressa. Lorenzo Milani.

¹⁶ Learning losses from COVID-19 could cost this generation of students close to $17 trillion in lifetime earnings. World Bank-UNESCO-UNICEF report lays out the magnitude of the education crisis. www.unicef.org 6 December 2021 (traduzione mia).

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