Per una nuova forma di vita

Autore

Emanuela Fellin
Emanuela Fellin, pedagogista clinica, svolge la sua attività professionale, di studio, ricerca e consulenza per lo sviluppo individuale, sia con l’infanzia e l’adolescenza, che con gli adulti. Si occupa di interventi con i gruppi e le organizzazioni per la formazione e lo sviluppo dell’apprendimento e della motivazione. L’impegno di studio e applicazione è rivolto agli interventi nei contesti critici dell’educazione contemporanea, sia istituzionali che scolastici. Le tematiche principali di interesse vertono sui concetti di vivibilità, ambiente, cura e apprendimento. I metodi utilizzati sono quelli propri della ricerca-intervento e della consulenza al ruolo per lo sviluppo individuale e il sostegno alle dinamiche dei gruppi e delle organizzazioni.

Una nuova forma di vita è necessaria.

Ad evidenziarlo è la precarizzazione sempre più diffusa della forma di vita che ci siamo dati e che mostra tutti i suoi fallimenti. Il compito educativo con cui riteniamo si possa affrontare prioritariamente la precarietà, che è il filo conduttore di questo numero della nostra rivista, oggi necessita di cambiare di segno. L’educazione, che tutt’ora viene spesso relegata alle azioni della scuola e poco più, necessità di essere riconosciuta come azione continua e diffusa per lo sviluppo della discontinuità e della creazione di una socialità inedita. 

Edward O. Wilson, il grande biologo evoluzionista che ci ha appena lasciati, aveva usato recentemente un’immagine particolarmente eloquente per descrivere i fallimenti e la conseguente precarietà del nostro modello di sviluppo e della nostra forma di vita. Parlando di come viviamo, Wilson aveva fatto riferimento agli incendi della Foresta Amazzonica e aveva sostenuto che bruciare l’Amazzonia per fare soldi è come bruciare un Caravaggio per farsi la cena. 

Gli effetti della precarizzazione, come aveva documentato in anticipo Judith Butler, in quel libro insuperato che è Vite Precarie, riguardano gli aspetti portanti della nostra esperienza di vita, gli stessi su cui l’azione di rieducazione di noi stessi deve cercare le vie per agire. Un diaframma insuperabile nella maggior parte dei casi si frappone tra le aspettative e i progetti di vita delle giovani generazioni e la possibilità anche minima di esprimere se stessi.

I metodi e i contenuti con cui educhiamo le giovani generazioni si muovono ad ogni evidenza con la testa rivolta all’indietro. Abbiamo sostituito una società della cura con una società contabile.

Compito prioritario è smettere di utilizzare contenuti e modelli del passato pre pandemico, per leggere il presente e pensare il futuro. Le testimonianze e i contenuti dei contributi di questo numero, dando voce a esponenti delle giovani generazioni, parlano già un’altra lingua, da cui è indispensabile partire. 

Basterebbero il lavoro, l’educazione e la cura per concepire un’azione educante in grado di creare un presente vivibile e un senso di futuro. 

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