Paralisi frenetica è un’affermazione che denota la sua particolare attenzione per l’efficacia del linguaggio; per quella via, per citare un altro suo libro, per la quale il verbo si fa carne…
Come fare a dire l’impotenza che ci contraddistingue, nelle forme di vita contemporanee? Un ossimoro mi pare renda la contraddizione di avere l’illusione di onnipotenza e di non potere fare quasi nulla per cambiare tendenze particolarmente gravi e perniciose per noi.
A cosa si riferisce, in particolare?
Che sia in gioco un amore o la lotta contro il lavoro precario, una paralisi frenetica presidia l’azione e il discorso. Non si riesce a fare ciò che conviene e si desidera, e al contempo non si è in grado di subire in modo appropriato gli urti a cui siamo sottoposti.
Una situazione paradossale…
Questa impotenza è tanto più sorprendente, in quanto si associa a una sovrabbondanza: di capacità, di competenze, di abilità.
Non è la mancanza a produrre impotenza? Come è possibile?
No, lungi dall’essere causata da una mancanza, l’impotenza contemporanea sembra essere piuttosto il frutto di un eccesso di forza e possibilità che, non riuscendo a convertirsi in azioni e discorsi modellati con cura, non fa che stagnare e macerarsi.
Cosa si scopre con questa esperienza?
Una riscoperta importante diventa quella di “limite”. Esprimersi, far valere un’istanza sul lavoro, rivendicare un’idea politica, tessere un’amicizia o un amore: tutto ciò richiede di saper scandire i tempi delle parole, calibrare i movimenti, incanalare i gesti. Altrimenti prevalgono rassegnazione e risentimento, insieme a una singolare forma di arroganza.
E allora?
La ricerca di una prassi possibile deve essere collettiva e politica e richiede un habitus che consenta di sfuggire a questa impotenza: di un esercizio spirituale e politico che, promuovendo la rinuncia a rinunciare, ci consegni parole accorte e decisioni tempestive. Un gesto libero e condiviso in grado di trasformare il reale.