Chi si trova a scegliere in condizioni difficili o in situazioni di elevata incertezza che uso fa della ragione?
La situazione che stiamo vivendo ci espone ad elevati rischi e a una continua esigenza di fare i conti con l’incertezza e sentiamo di muoverci tra Scilla e Cariddi. Da un lato cerchiamo di valorizzare il più possibile la nostra capacità di mantenere una certa calma e utilizzare gli strumenti propri della ragione, dall’altro siamo continuamente coinvolti in ansie e preoccupazioni che ci portano verso scelte in cui le componenti emotive prendono il sopravvento.
Allora la questione che si pone è quali siano le incidenze che le componenti emozionali e affettive hanno sulla capacità di ragionare di noi esseri umani. Su questo problema sono state realizzate ricerche di ogni tipo e conosciamo con una certa evidenza, oggi, il fatto che non esiste una ragione olimpica, in grado di controllare tutti i fattori e tutte le variabili per scegliere in modo ottimale, ma la ragione umana è intarsiata costantemente dalle nostre spinte emozionali e dai legami affettivi che abbiamo con gli altri e con i fenomeni del mondo. Se, per esempio, qualcosa ci suscita una paura particolarmente intensa e difficile da governare, non è detto che riusciamo a far prevalere una certa freddezza di ragionamento per assumere una posizione o fare una scelta.
Lo stesso vale se qualcosa sollecita particolarmente la nostra attrazione e i nostri desideri, giungendo a mettere in discussione la nostra stessa capacità di stimare quali siano le scelte migliori in quella situazione. Si è parlato, insomma, di violazione della ragione da parte delle emozioni e dell’affettività, ma lo si è fatto in buona misura impropriamente. Non è che le emozioni e l’affettività violano o mettono in discussione una razionalità presunta capace di essere imperturbabile; la ragione di cui disponiamo, come unico mezzo per migliorare la nostra razionalità è di fatto l’esito delle nostre capacità cognitive e affettive. Quello che probabilmente ci manca è lo sviluppo per via educativa di una capacità di diventare almeno in maniera adeguata e sufficiente più padroni di noi stessi.
L’educazione, per come è concepita e organizzata a tutt’oggi, induce a trattare i problemi come se fossero lineari e il nostro comportamento e le nostre capacità come se fossero olimpiche. Sta in questo forse il principale problema riguardante la nostra capacità di elaborare in maniera adeguata le situazioni critiche. Siamo educati, in sostanza, come se fossimo ciò che non siamo. Non abbiamo una spontanea capacità di elaborare problemi non lineari e controversi, né disponiamo di una informazione totale sui fenomeni, soprattutto quando sono complessi. Per certi aspetti quindi l’educazione così come oggi prevalentemente viene realizzata, finisce per configurarsi come una disabilitazione e una conferma dei limiti del sistema cervello-mente nell’affrontare questioni globali e controverse.
Siccome la principale parte dei problemi e delle situazioni con cui oggi facciamo i conti tende a non presentarsi in modo lineare e le variabili in gioco mostrano una particolare complessità, un compito per sostenere uno sviluppo della ragione adeguato a una vita buona è volgere l’educazione verso i codici affettivi e la loro combinazione con la razionalità e la cognizione. Questo significa prendere in considerazione il pluralismo delle vie con cui affettività e ragione si compongono e ricompongono nella nostra esperienza.
Disponiamo oggi delle conoscenze scientifiche più evolute su come apprendiamo e conosciamo il mondo e siamo di fronte ad urgenze sempre più pressanti per costruire una vivibilità sostenibile ed emancipativa per noi umani. Non rimane che passare all’azione cercando di non accumulare ulteriori e pericolosi ritardi!