L’identificazione è una melodia non perfettamente in tono ma ricca di variazioni. Non ordina il sacrificio della plurivocità perché essa è l’Altro, è il collettivo, che per definizione è olofonico, multispaziale. L’identificazione è una polifonia di partiture Altre, è la tolleranza a quote di stonatura. E’ la musica della salute democratica
Quando un soggetto è disponibile ad essere affascinato, dimentica se stesso, si mette in una posizione passiva, persino di sudditanza. Ogni suddito è, in qualche modo, un “innamorato”: entrambi ascoltano la pancia. Scrive Freud nel 1921: “nella massa primitiva gli affetti si esaltano e il pensiero si inibisce”.
La nostra è un’epoca che conta molto sul fascino delle parole d’ordine, sulla captazione del non-pensiero. Da quale esperienza umana prende forza l’ipnosi che può avere un linguaggio ripetitivo e la cattura all’obbedienza? Perché periodicamente l’uomo rischia un tale fascismo eterno, per dirla con Umberto Eco? Al fascismo, per esistere, non è necessario un corpus articolato e non contraddittorio, al contrario il suo essere filosoficamente sgangherato lo rende più letale: le sue caratteristiche – spiega Eco – non hanno bisogno di un sistema; molte si contraddicono tra loro, oppure sono tipiche di altre forme di dispotismo o di fanatismo. Eppure è sufficiente che una di loro sia presente perché immediatamente si coauguli la “nebulosa fascista»
Quale forza contagia così profondamente l’uomo, solleticando in lui l’eterno ritorno di un godimento mortifero? L’uomo ha in sé un fondo oscuro – la pulsione di morte freudiana, una latente infezione dell’anima, come la chiamava Primo Levi – un vizio originario che lo inclina alla staticità, alla chiusura, all’obbedienza, alla passività, in una parola al totalitarismo come annientamento del desiderio, di vita, di creatività, di contestazione. Da dove viene? Perché è originaria? E cosa ha fatto l’uomo nella sua storia per contrastarla?
La fascinazione ipnotica nasce con la nascita dell’uomo: la vediamo nel bambino captato dagli occhi e dal seno della madre. È lì che ognuno di noi ha subito la prima fascinazione, nel momento in cui il pensiero non è ancora sorto. Tale stadio primitivo è il punto di avvio dell’umanità perché se una madre non fosse disposta a tollerare la dipendenza assoluta del suo piccolo, questi morirebbe: il fondamento dell’essere umano è dunque la dipendenza. L’evoluzione, allora, non è che uno svezzamento, non solo dal latte, ma anche dalla prima dipendenza, dai primi ordini, quelli che mantenevano in vita. L’educazione è un lungo percorso di liberazione, di affrancamento da quella captazione e sottomissione originaria. Tutto il progetto della civiltà è costruito per allontanarci dalla nostra “natura” primitiva, dalla nostra latente infezione dell’anima, quella che porta al capolinea dell’homo homini lupus di Hobbes o al campo di concentramento. La Storia, in fondo, è anche la storia di come tale pulsione di morte abbia orientato le politiche, spinto gli eserciti a morire, costruito campi d’internamento e di distruzione dell’uomo.
Il suddito innamorato è restato marcato dalla prima ipnosi che ogni essere umano subisce e la regressione a quel punto gli è più facile in certe condizioni. Egli è come rimasto fissato a quel momento estatico, ma anche abissale: «non già costretto da una forza più grande, ma in qualche modo incantato e affascinato», come scrive Étienne de La Boétie a proposito del servo volontario. Tale fissazione primitiva – prodotta a causa di un fallimento dello stadio dello specchio di Lacan e delle successive separazioni dalla madre – si ripresenta nella vita adulta sotto forma di amore tossico: nei confronti di un partner, come nel diventare lo sventato seguace di un leader fascinoso ma ma senza scrupoli.
L’esperienza neonatale non limitata dalla legge della separazione e la sottomissione a un leader autocratico presentano una continuità: il leader che pretende fedeltà non sta affatto nella posizione del padre regolatore, ma nella irrefrenabilità della plusmadre nei confronti del bambino. Ogni leader vuole essere amato, ogni madre non tollera l’ambivalenza d’amore in suo figlio. L’arcaico padre dell’orda, quello che si accaparra tutti i beni e le donne del gruppo, così simile a ogni dittatore, è affine alla sregolatezza plusmaterna e lontanissimo dalla legge del limite paterna.
Il capo carismatico, allora, riesce ad attivare nei seguaci quel tasto arcaico di cattura psichica che ogni uomo ha provato al principio della vita.
Non è un caso che, in epoca plusmaterna, anche il pensiero sia meno critico, non è accidentale se ragioniamo meno distintamente, per metonimie invece che per metafore, per scivolamenti confusivi invece che per analisi, cioè separazioni logiche. Si tratta di uno pseudo-pensiero che riprende la con-fusione della simbiosi madre-bambino che è sì necessaria ma solo se resta iniziale ed è seguita da una successione di separazioni. Quando queste non ci sono e la simbiosi non ha fine si parla di plusmaterno come fallimento della funzione materna che avrebbe invece il compito di “mettere al mondo” il bambino.
Chi si è separato meglio è meno sensibile a quel tipo di fascinazione, tuttavia nell’epoca attuale sempre meno persone beneficiano di una norma regolamentatrice che separi dal godimento illimitato, per poter entrare nella soddisfazione limitata del linguaggio e del legame sociale democratico. E, così, un numero considerevole di individui corre il rischio di restare impigliato nelle reti ammaliatrici e arbitrarie di un capo fanatico o integralista. Non è la povertà che porta al terrorismo – molti terroristi non sono poveri, l’indigenza porta, casomai, alla ribellione – mentre nel terrorismo siamo nell’estremismo dell’obbedienza. Il fanatico è dominato dalla fede nell’Uno e l’Uno, per la psicoanalisi, è la madre (mentre l’Altro è la donna). L’obbedienza alla religione dell’Uno, su cui l’integralismo (integro, intero, Uno) si radica, non è strutturalmente diversa dall’obbedienza all’Uno del plusmaterno, quello della madre arcaica. L’antidoto alla religione terroristica dell’Uno – una sola idea, una sola fede, uno solo ha ragione – è la separazione, l’analisi, la differenziazione, la polifonia. In una parola Eros.
L’identità, invece, suona in mono. L’ideologia della massa si diffonde grazie a un gadget formidabile: il regalo di un’identità a chi è privo di uno statuto personale consistente. Nell’identità tutti collassano su pochi punti comuni, mentre le zone più proprie del soggetto sono scarti ininfluenti. La massa è l’Uno, sente come un sol uomo, si muove, parla, grida e reagisce in mono. Esprime la violenza dell’unisono. L’identificazione, al contrario, rappresenta la possibilità per ciascuno di identificarsi a parti dell’Altro, o meglio a parti di diversi Altri, costruendo un puzzle il cui disegno diventa poi personale grazie ai propri inalienabili punti di originalità. Come spiega lo stesso Freud nel 1921: “Dall’identificazione parte la strada che, passando per l’imitazione, giunge all’immedesimazione [Einfülung, che è spesso tradotto con empatia], ossia all’intendimento del meccanismo mediante il quale ci è comunque possibile prender posizione nei confronti di un’altra vita psichica”.
L’identificazione è una melodia non perfettamente in tono ma ricca di variazioni. Non ordina il sacrificio della plurivocità perché essa è l’Altro, è il collettivo, che per definizione è olofonico, multispaziale. L’identificazione è una polifonia di partiture Altre, è la tolleranza a quote di stonatura. E’ la musica della salute democratica.
Grazie Laura, è davvero illuminante leggerti. In questo marasma attuale capire il meccanismo di comportamenti assurdi riesce a conciliare un po’ di più con la quotidianità.