Ovvero: per un gioco lasco e leggero, perché solo ritrovare la relazione costitutiva con il corpo, i corpi e gli oggetti del mondo ci potrà salvare. Non si tratta di divenire, ma di ri-divenire terrestri e toccare leggero il mondo, questa volta accorgendosi degli effetti che produciamo
“E, in quanto a noi, penso che si possa dire che siamo spiriti, che spargeremo il nostro essere nel mondo degli oggetti e nei venti delle reciprocità umane (e non umane) che si formano a vicenda“
C. Bollas, Essere un carattere. Psicoanalisi e esperienza del sé, Borla, Roma 1995 (1993); p. 64.
La ferita narcisistica, l’invidia da elaborare e le difese e le resistenze relative.
Molte volte mi sono chiesto, senza grandi risultati, perché abbiamo un rapporto distruttivo con il mondo, perché noi umani stiamo segando il ramo su cui stiamo seduti.
Sono giunto a concepire un’ipotesi provvisoria: forse tutto dipende da una combinazione tremenda tra invidia e senso di colpa, sostenute dall’angoscia di morte e dalle forme dominanti con cui la elaboriamo.
Nel rapporto con la nostra casa, la natura che siamo e di cui siamo parte, tende a prevalere l’invidia. Tendiamo a elaborare l’angoscia di morte con l’invidia per il mondo che vivrà dopo noi e, quindi, nei confronti di chi vivrà dopo di noi.
Interviene, di fronte ai risultati della distruzione e al sentimento di figlicidio, un pervasivo senso di colpa, che diviene il principale ostacolo al pensiero e alle azioni per generare l’inedito.
A proposito della distruttività della guerra, Luigi M. Pagliarani diceva che è triste e terribile quel tempo in cui i genitori seppelliscono i figli.
Si afferma quella che abbiamo definito “Titanic Syndrome”, [in U. Morelli, Mente e paesaggio. Una teoria della vivibilità, Bollati Boringhieri, Torino 2011, 2.a edizione].
Eppure…
…l’intersoggettivo si configura come l’immanente condizione del provvisorio soggettivo emergente. L’antecedente evolutivo è la condizione di ogni contingente espressione presente. In termini ologrammatici vale per la singola vita e per il vivente in generale quel che ci precede, in quanto utero di quel che emerge e di quel che eccede.
Potrebbe affermarsi un’elaborazione basata sulla gratitudine per la bellezza di vivere e, alla fine, di aver vissuto nelle e delle cose belle e meravigliose di cui siamo parte. [M. Klein, Invidia e gratitudine, (1957) Giunti, Firenze, 2012].
La creatività e la bellezza sono nostre possibilità da esse può derivare una relazione estetica con il mondo. Nell’ascolto dell’imminenza, nel tempo perifrastico attivo dell’accadere della bellezza, si apre il senso del possibile e il possibile verrà, a saperlo cercare e attendere.L’attenzione è alla tensione rinviante [U. Morelli, Mente e bellezza. Arte, creatività, innovazione, Allemandi &C, Torino 2010], a “quest’imminenza di una rivelazione, che non si produce, (che) è, forse, il fatto estetico”, secondo Jorge L. Borges.
Educazione sentimentale e ragion poetica
“Il poeta ha da sempre saputo ciò che il filosofo ha ignorato, cioè che non è possibile prendersi da sé”, scrive Maria Zambrano [Verso un sapere dell’anima, Raffaello Cortina Editore, Milano 1996].
Quali resistenze e quali difese intervengono in quel processo in base al quale lo stupore estatico viene violentato da un’azione di negazione per liberarsi della sua insopportabilità?
C’è da domandarsi con molta attenzione perché i momenti estatici della mente, pur così approfonditamente analizzati ad esempio da Elvio Fachinelli, risultino ai più e nella maggior parte dei casi intollerabili. Certamente generano emozioni e sentimenti vertiginosi e profondi. È evidente, come ognuno di noi sperimenta, che quelle emozioni mostrano un livello di sollecitazione che può essere sconvolgente.
Anche se le loro labbra non si toccano…
Uno dei baci più famosi della storia dell’arte non è un bacio. L’estetica delle relazioni è fatta, probabilmente, di attesa, di leggerezza, di sospensione, di capacità negativa avrebbe detto John Keats: per non rovinare la possibilità prima che trovi la via per nascere, emergere e esprimersi. Il contrario della posizione arrogante che l’invidia distruttiva e il senso di colpa determinano. Un Mind Wandering: un toccarsi emergente dall’attesa del toccarsi e di toccare; un’astinenza calibrata alla temperatura dell’incontro appropriato, della relazione vicendevole, come sostenuto anche da Freud e da Bion, alla ricerca dell’adeguatezza e dell’efficacia della relazione terapeutica [S. Freud, Consigli al medico nel trattamento psicoanalitico, Opere, 6, Boringhieri, Torino, 1974; p. 535. W. R. Bion, On arrogance, 1958, in Second Thoughts, Karnak Books, London 1984].
Ancor più chiaro è D. Winnicott nel 1971, [in Il gioco: Formulazione teorica, contenuto in Gioco e realtà, Armando, Roma; p. 93].
“La cosa importante del gioco è sempre la precarietà di ciò che si svolge tra la realtà psichica personale e l’esperienza di controllo degli oggetti reali. Questa è la precarietà del magico stesso, magico che sorge nell’intimità, in un rapporto che si riconosce come attendibile.” Quella precarietà, intesa come l’assenza di definizioni prescrittive e normative a priori, come la disposizione ad abitare la convivialità del cercare comune in relazioni reciproche e asimmetriche, può configurare quella che Michel de M’Uzan chiama: “zona di transizione; spettro d’identità; zona di individuazione fluttuante” [1989, During the session: consideration on the analist’s mental functioning, in Death and identity: being and psycho-sexual drama, Karnac Book, London 2013; p. 61].
In azione è qui quello che, nel 1994, T. H. Ogden ha definito: “soggetto dialettico e decentrato”, [Il soggetto freudiano, in Soggetto dell’analisi, Masson, Milano 1999].
Secondo Ogden: “Il soggetto diviene attraverso un processo di negazione creativa di se stesso “ [ivi].
[Sulla ricerca per individuare le condizioni per una relazione col mondo e coi paesaggi della nostra vita basate sul principio di vivibilità si possono anche ascoltare: U. Morelli, Il paesaggio corpo; Il paesaggio stanza; il paesaggio casa; il paesaggio intorno; il paesaggio oltre. (https://www.doppiozero.com/materiali/il-paesaggio-mancante) [doppiozero.com]
Epistemologia
Non si percorre il cammino dalla distruttività invidiosa e fatta di sensi di colpa alla generatività dell’inedito, senza elaborare ostacoli epistemologici e epistemofilici: senza attraversare il dolore e la ferita della conoscenza
[G. Bachelard, La formazione dello spirito scientifico, Raffaello Cortina Editore, Milano 1995. E. Pichon Riviere, Il processo gruppale. Dalla psicoanalisi alla psicologia sociale, Libreria Lauretana Editrice, Loreto 1992].
Nella relazione tra l’evento e l’osservatore si tratta di intraprendere la difficile via per deporre la posizione dell’osservatore distante e non coinvolto, che crea una distorsione e un ostacolo alla comprensione della nostra condizione.
Il vivente di cui siamo parte è composto dal caso, dal rumore e dall’ordine: L’idea di ordine e l’ossessione nei confronti dell’ordine è di ostacolo alla comprensione del vivente, se non si considerano i ruoli costitutivi del caso e del rumore. Emerge il valore dell’approssimazione come forma di relazione e modo di conoscenza.
É perché ci tocchiamo che ci individuiamo. Non: esistiamo e poi ci tocchiamo
Nell’approssimazione l’incertezza è costitutiva e stocastica, non occasionale
Conferme evidenti derivano oggi dall’osservazione del comportamento di feti gemellari in utero, e dall’analisi delle dinamiche relazionali nel tempo perinatale. Diveniamo nella relazione con la rassicurazione delle relazioni oggettuali, con la protezione necessaria e con la differenziazione altrettanto indispensabile pur nella sua delicata criticità.
Il tempo debito
Investire in eccedenza, in quell’eccedenza che siamo e per cui, in fondo, ci distinguiamo, come riconosce Carl Sagan: “siamo materia stellare che medita sulle stelle”; e la nostra possibilità/capacità di meditare è la nostra principale responsabilità rispetto a noi stessi e, in ragione della nostra distinzione, al sistema vivente da cui dipendiamo. Tocca a noi, se ne saremo capaci.
Quello che abbiamo chiamato “tempo utile”, il quarto livello dell’ordine del tempo (Kairos, Kronos, Tempo relativo), si può definire anche “tempo debito”, nel senso del tempo dovuto alla vita propria e altrui, ma anche come tempo che è un debito verso la vita, una gratitudine verso la vita, che è l’opposto dell’invidia verso l’eternità. Quell’invidia verso l’eternità che porta Faust alla perdizione.
Il valore della dipendenza per ogni autonomia possibile
Ci può aiutare la ricerca scientifica sui sistemi viventi. Qual è la logica del vivente e quale l’entità primaria del vivente?
L’organismo? (no, non è un fenomeno indipendente che esiste per conto suo. Le linee genealogiche? (sì, derivate da un’unica origine: LUCA, Last Universal Common Ancestor)
Come?
Per riproduzione invariante? (no, perché il confine tra specie è un margine sfrangiato)
Per variazione? (le arborescenze evolutive danno vita a provvisorie forme e le specie sono solo quelle che si allontanano di meno da alcune temporanee costanti, di cui gli organismi sono manifestazioni contingenti)
[F. Jacob, La logica del vivente, Einaudi, Torino 1971. J. J. Kupiec, Et si le vivant était anarchique. Editions Les Liens qui Liberent, Parìs, 2019]
“Morire quanto necessario, senza eccedere. Rinascere quanto occorre da ciò che si è salvato”
[Wislawa Szymborska]
Per eccesso di difetto fondamentale
Come siamo arrivati a ridurci sull’orlo dell’abisso. Consideriamo un’ipotesi. Gli esami di realtà possono aiutare.
Nel luogo dell’origine noi coincidevamo con noi stessi e col mondo, inconsapevoli. Divenuti simbolici ci siamo separati per eccesso da (elaborazione del) difetto fondamentale, la nostra lunga neotenia e il nostro essere implumi e senza artigli e zanne. Siamo divenuti animali tecnologici e ci siamo separati.
Riusciremo a ricongiungerci in modo consapevole?
Come ci creiamo nell’intersoggettività
Componiamo e ricomponiamo in modi almeno in parte originali i repertori disponibili e diamo vita a relazioni estetiche e creative col mondo [E. Fellin, U. Morelli, Di bellezza si vive, Meltemi, Milano 2021].
Ci creiamo approssimandoci, toccandoci, distillandoci, distinguendoci, in un continuo e incessante divenire [dividui e diventità]
L’infanzia generante e duratura ci caratterizza, secondo il pensiero sul puer di Luigi M. Pagliarani.
C’è un’attualità dell’originario, ed è ambigua: quel che ci precede non precede ma è dentro i vari modi di conoscere che di fatto si sviluppano. Questo significa, appunto, che l’origine non si arresta nel suo tempo, al contrario, che è attiva sempre di nuovo nel presente. L’animale umano può descrivere il mondo perché è in fondo nient’altro che un pezzo di mondo che parla di un altro pezzo di mondo. In tal senso l’ipotesi è che Homo sapiens sia una cosa che parla di altre cose: infine è mondo che osserva se stesso.
Back to the future: divenire, finalmente, terrestri
Proprio per questa distinzione specie specifica, homo sapiens sapiens, si trova oggi, forse, di fronte alla propria prima possibilità: divenire finalmente quel che da sempre è: terrestre.
Quella possibilità non è data. Abbiamo la responsabilità di crearla.
Quali attraversa-menti, quali vincoli e quali possibilità per crearla?
Una possibilità decisiva deriva dall’affermazione del paradigma corporeo, che evidenzia il ruolo del sistema sensorimotorio, l’antecedenza immanente e l’inconsapevolezza prevalente della nostra esperienza. Nel rapporto tra toccare e coscienza, un rapporto strettissimo come ha mostrato recentemente Giorgio Vallortigara, i sensi e le sensazioni, che aprono alla corrispondenza tra azione e percezione, danno vita alle condizioni per la simulazione incarnata, l’embodied cognition, e l’educazione sentimentale, capace di condurci a modi di sperimentare e elaborare le emozioni secondo criteri di vivibilità. Una risonanza estesa con gli altri e il mondo darebbe ragione a quella epidermicità che Nietzsche aveva così definito:
“Tutti gli esseri delle profondità trovano la loro beatitudine nell’assomigliare per una volta ai pesci volanti e dal giocare sulle creste più alte delle onde; apprezzano come il meglio nelle cose, – che esse abbiamo una superficie: la loro epidermicità – sit venia verbo” [F. Nietzsche, La gaia scienza, 256].
Divenire parte del tutto
Potremmo partire dalla mano, con tutte le implicazioni che ciò comporta, per toccare e ritoccare il mondo in modo appropriato. Se siamo di fronte alla prima possibilità per la specie che sa e sa di sapere, ciò dipenderà dalla disposizione a valorizzare l’evidenza che la nostra specie è in grado di imparare ad imparare da se stessa e dal mondo di cui è parte.
Solo un’epistemologia e una prassi del toccare leggero può donarci la capacità di riconoscere il valore del margine, dei bordi, e di accedere a inediti significati; di riconoscere altresì il valore del tempo, la natura dell’ossessione e la via della lentezza.
Non può esservi vera autonomia se non riconoscendo la dipendenza dall’altro esteso e dal sistema vivente di cui siamo parte.