Lo spazio del “nuovo” pensiero che include la consapevolezza dell’ambiente come esperienza del vivente.
L’azione è movimento. Nello svelarsi e compiersi, il movimento diviene trasformazione e cambiamento dell’antecedente. É in questo dinamismo, mai isolato dal pensiero riflessivo o metacognitivo e coeso con i contesti sociali, che accade ed evolve il processo di apprendimento. L’esperienza, avvolta e significata nel pensiero di Dewey, è motore formativo gli habits of mind che, compiendosi in azione, esprimono atti di cre-azione e generatività. Il campo è plurale e plurimo: le esperienze divengono necessariamente un continuum – di azioni plurali – e nel contempo nodi di opportunità plurime per gli esseri umani. I luoghi dell’azione si moltiplicano e morfologicamente si ibridano, divenendo per i soggetti un network di movimenti, richiedendo linguaggi multialfabeti. Se in essi appare emergente la natura primariamente intersoggettiva dell’agire, l’azione orientata alla vitalità, pone in evidenza come sia concorrente l’agire unilaterale o trasmissivo, dogmatico o repressivo.
L’azione educativa espande le proprie traiettorie, di conseguenza: concepita come movimento trasformativo – non solo cognitivo – essa non è mai finita, è senza età, ovvero lungo tutta la vita, divenendo lifelong education. È anche sconfinata, oppure non-confinata in alcuni ambiti formali come la scuola, estendendosi in tutti i luoghi dell’azione di vita. Ed è, anche, sempre più profondamente connessa ai valori che connotano il compiersi delle esistenzialità umane, oggi co-abitanti la Nazione delle Piante e alleati dell’Ambiente.
Alcune questioni si affacciano: se l’azione educativa è movimento che coinvolge in forma integrale la persona, allora l’etodirezione dei tempi, delle forme, dei significati, dell’autorità, dei valori stessi, divengono quell’“installazione” riproduttiva che già Lacan interpreta come il limitare e contenere l’autonomia, la qualità dell’esperienza, le scelte, la creatività, il pensare divergente. Se l’azione è sia essere che fare, ma anche far-essere e far-fare, ne consegue che l’azione educativa è enazione, è enattiva, è laboratorio, è agentiva: è quindi co-educazione, co-partecipazione, co-esistenza, co-progettazione di esperienze organizzate con intenzionale qualità. Il contesto per-forma: se l’azione educativa è risonanza, “nel” contesto dovrebbe abitarvi la coscientizzazione dell’educazione come liberazione e come cre-azione. L’azione educativa è quindi naturalmente estesa, sociale, plurale: oltre alla scuola.
Abbiamo bisogno – nel post pandemico – di un’ecologia dell’azione, in grado di prospettare un’ecologia delle menti, con Bateson. Con Maturana e Varela: da una parte – autopoiesi – la capacità dei sistemi di autogenerarsi, dove le reti viventi continuamente creano o ricreano sé stesse, trasformando o sostituendo le loro componenti, subendo continue modifiche ma mantenendo il proprio schema di organizzazione a rete. Dall’altra parte – accoppiamento strutturale – il sistema vivente si accoppia strutturalmente con il proprio ambiente, per cui ogni interazione innesca cambiamenti strutturali nel sistema stesso.
È questo lo spazio dell’ecosistema per l’apprendimento, come reti di reti di conoscenza e di esperienza. L’ecosistema come ambiente – esterno ma correlato al microsistema umano e a quello contestuale delle istituzioni e organizzazioni – che amplifica il pensiero di rete di relazioni, riportando la questione della relazione di causalità reciproca. Appare evidente l’attualità della “teoria di Santiago”. Lo spazio del “nuovo” pensiero che include la consapevolezza dell’ambiente come esperienza del vivente. Dove la co-creazione di reti di esperienza è opportunità strutturale – formale/non-formale/informale – per un reale ecosistema educativo e formativo per tutta la vita: da questa prospettiva anche la capacit-azione dell’ecosistema ad essere così inteso è ancora da agire (per essere, fare, far-essere). Formare infatti, significa fare, ma un tal fare che mentre fa inventa il modo di fare (Margiotta, 2018).