L’azione è straordinaria in sé: non solo perché ad ogni azione se ne può opporre un’altra, ma anche perché spesso l’azione finisce per andare contro se stessa
La questione non è seguire o meno gli Europei di calcio. La questione è capire cosa sta accadendo alle competizioni calcistiche e di cosa ci parlano i riflessi sociali e culturali del calcio. Si stanno verificando situazioni che riguardano tutte e tutti noi. Da una competizione sportiva calcistica si è passati ad una competizione da braccio di ferro dove il protagonista non è l’amato popeye ma ancora i diritti di essere umani. Incagliati nel creare barriere, siamo sempre a caccia di differenze con cui prendercela. E figurarsi se non troviamo di volta in volta la differenza che non riusciamo ad ammettere nel patrimonio della vita di cui siamo parte. Una volta sono i neri, un’altra i gay, un’altra ancora quelli che abitano di là dal fiume, fino ai vicini della porta accanto. Niente di male se si considera che ogni differenza richiede elaborazione. Una società civile e giusta non è quella in cui si ripete moralisticamente che siamo tutti uguali, ma quella in cui si riconosce che siamo tutti diversi e che il dialogo e la pluralità delle differenze sono un valore, forse uno dei più grandi valori. Molto di male se una monocultura della mente trova insopportabile ogni differenza dallo standard e dalla misura arbitraria che si dà su come bisogna essere, vivere e comportarsi. Che si vada in una direzione o in un’altra è il compito dell’azione educativa e, visto che umani si diventa, delle scelte a cui veniamo indirizzati dai processi di socializzazione, nonché dai contesti comunicativi a cui partecipiamo fin da piccoli. Una delle conseguenze nefaste del dualismo tra natura e cultura è l’evidenza con cui riteniamo naturale tutto ciò che non riguarda noi umani e culturale tutto ciò che ci riguarda. Recentemente Philippe Descola, in Oltre natura e cultura, Raffaello Cortina Editore, Milano 2021, ha sostenuto che la nostra modernità ha segnato un baratro tra esseri umani ed “esistenti” non umani sul pianeta sul quale viviamo. Si è creato un paradosso, per cui noi che siamo legati a doppia mandata al sistema vivente riteniamo di essere sopra le parti. Il fatto è che mentre siamo impegnati nel difficile compito di essere parte del tutto nel mondo in cui viviamo, e ci ingegniamo per cercare di riconoscere il valore di ogni entità animale o vegetale per la nostra stessa vita, continuiamo a separarci tra noi umani in base a classifiche e divisioni di volta in volta inventate. Pretendiamo, tra l’altro, di esibire giustificazioni dei nostri stereotipi, impedendo o ostacolando il processo evolutivo per una efficace convivenza di ogni differenza. Le motivazioni addotte per impedire di illuminare con i colori dell’arcobaleno lo stadio di Monaco di Baviera, ne sono un esempio, del tutto pretestuoso, e pretendere da parte dell’UEFA una presunta neutralità, sostenendo di occuparsi di sport e non di politica, è precisamente un atto politico, di carattere pilatesco, che denota di fatto un orientamento e una scelta. Così come intervenire da parte del Vaticano per sostenere che la proposta di legge Zan contro l’omofobia lederebbe i diritti dei cattolici ad esprimere le proprie posizioni, richiama troppo da vicino la favola di Fedro L’agnello e il lupo, dove il lupo che sta nella parte superiore del torrente accusa l’agnello che sta più in basso di intorpidirgli l’acqua, al solo scopo di trovare un pretesto per mangiarselo. Sono gli omosessuali ad essere offesi e attaccati, come dimostra l’alone omertoso che accompagna ogni tentativo di superare il problema, con esibizioni di moralisti e benpensanti. Quello che però consola è che il flusso dei diritti e della libertà non si arresta, anche se si rallenta. E allora la convinzione è che lo stadio di Monaco, nella sera prevista, sarà visto da tutti, ma proprio da tutti, illuminato con i colori dell’arcobaleno, proprio perché è stato vietato di illuminarlo così. L’azione è straordinaria in sé: non solo perché ad ogni azione se ne può opporre un’altra, ma anche perché spesso l’azione finisce per andare contro se stessa.