L’educazione è una conversazione finita

Autore

Emanuela Fellin
Emanuela Fellin, pedagogista clinica, svolge la sua attività professionale, di studio, ricerca e consulenza per lo sviluppo individuale, sia con l’infanzia e l’adolescenza, che con gli adulti. Si occupa di interventi con i gruppi e le organizzazioni per la formazione e lo sviluppo dell’apprendimento e della motivazione. L’impegno di studio e applicazione è rivolto agli interventi nei contesti critici dell’educazione contemporanea, sia istituzionali che scolastici. Le tematiche principali di interesse vertono sui concetti di vivibilità, ambiente, cura e apprendimento. I metodi utilizzati sono quelli propri della ricerca-intervento e della consulenza al ruolo per lo sviluppo individuale e il sostegno alle dinamiche dei gruppi e delle organizzazioni.

La conversazione è un processo di cooperazione, principalmente un processo di cooperazione interpretativa. Non è facile nella comunicazione umana trovare le condizioni per versare in una direzione condivisa posizioni che per definizione partono dall’unicità di ognuno di noi. Eppure, noi umani siamo in grado di creare delle situazioni dialogiche che disegnano spazi di appartenenza condivisi. Quell’appartenenza può essere di convivenza e di conoscenza e si avvale della nostra intersoggettività come base sulla quale costruire la comprensione reciproca. Pur essendo uno diverso dall’altro possiamo comprenderci. La comprensione, a ben pensarci, segnala a sua volta lo spazio di approssimazione che ci può aiutare a prendere insieme qualcosa, ad esempio un’unità di conoscenza mediante l’apprendimento reciproco. Questo significa che nei processi educativi, ad apprendere, sono tutti coloro che partecipano alla conversazione e, quindi, sia chi insegna che chi apprende. È un gioco di autonomia dipendenza l’educazione, eppure, stante l’ineludibile dimensione asimmetrica della relazione, a dipendere dall’altro o dagli altri è sia l’insegnante che l’allievo. È proprio quella dipendenza che, se bene ascoltata, fertilizza e feconda l’atteggiamento di chi insegna e la sua modalità di proporsi a chi a lei o a lui si affida per apprendere. La delicatezza e la complessità di quella relazione asimmetrica è, a ben vedere, la base sicura su cui gli apprendimenti si appoggiano e si sviluppano. Come accade nel processo di affidamento basato spesso sul tenersi per mano nel momento in cui si impara a camminare. Anche in questo campo la deprivazione derivante dalla pandemia ha permesso di vedere che, a salvare il valore dell’educazione, sono state le relazioni e le possibilità di dialogo, per quanto vincolate, producendo i risultati ottenibili. Nonostante i limiti della prossemica, le coperture del viso e le distanze imposte, la conversazione ha mantenuto il suo spazio, seppur limitato. La capacità conversativa che è propria dell’esperienza umana e del legame sociale, è riuscita ad andare oltre il vincolo, cambiando certamente i modi di comunicare, ma traboccando dai limiti. Proprio perché è venuta a mancare la possibilità di conversare spontaneamente, si è prodotta la criticità dei processi educativi, anche se vie di ripiego hanno consentito di mantenere in atto un regime ridotto. La pandemia, quindi, è stata un esperimento che ha permesso di riconoscere ancora più chiaramente il valore della conversazione nell’educazione. È la scuola che dovrebbe essere il luogo istituzionale per sostenere e realizzare processi di conversazione infinita. Per riuscirci deve mettere in discussione se stessa e gli ostacoli che i molteplici confini che la caratterizzano continuano a frapporsi rispetto a una relazione educativa di effettiva natura conversativa. Gli ostacoli sono prima di tutto i muri istituzionali, in un tempo in cui il digitale non conosce confini. Ci sono già realtà in cui questi processi in grado di superare gli ostacoli sono in atto e mostrano una particolare efficacia. In quelle realtà si giocano tutte le carte relative all’educazione basata sulla valorizzazione delle emozioni e sulla passione per i compiti di apprendimento. Sono le persone che lavorano in contesti innovativi in campo educativo, che mettono in atto la passione di fare quello che fanno. In quei casi accade anche che i confini tra il dentro e il fuori delle istituzioni educative siano porosi e basati sulla continua ricerca delle interdipendenze. Scrivo questo contributo al rientro da un’esperienza di lavoro in una realtà che ha messo al centro la passione e l’attenzione all’altro in ognuna delle attività che svolge, l’Associazione Cometa di Como.

Sia che si tratti di lavorare su apprendimenti per astrazione, o che si tratti di apprendimenti per immersione, orientati alla produzione di azioni pratiche e operative, è sempre la passione per il compito a caratterizzare la relazione educativa. Vi è prima ancora la passione per l’altro che apprende e per la conoscenza. Seguendo il pensiero di Humberto Maturana, la cui attualità e necessità non è mai stata così evidente, è necessario partire dalle realtà che stanno sperimentando innovazione educativa secondo la passione e la relazione reciproca, per realizzare un’educazione come conversazione infinita. 

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