Ogni atto di conoscenza ci porta un mondo fra le mani
Humberto Maturana, Francisco Varela
Prive di contesto, le parole e le azioni non hanno alcun significato
Gregory Bateson
Penso dunque siamo
Heinz von Fœrster
Per fare una mente ce ne vogliono almeno due
Ugo Morelli
Si può guarire l’organizzazione? Questa domanda ha attraversato radicalmente la ricerca e l’attività che Francesco Novara portò avanti per molti anni nel Centro di psicologia dell’Olivetti a Ivrea. Già negli anni ’60, Novara osservava criticamente come il “modello antropologico economicistico” generasse una razionalità formale, calcolante – la weberiana gabbia di ferro – che metteva al mondo organizzazioni burocratiche composte da specialisti senz’anima. Contesti organizzativi – annotava Novara – nei quali “i rapporti razionali sono oggettivati, strumentali, svuotati del loro contenuto emotivo, demotivati. Le relazioni tra le persone scompaiono nell’anonimato delle funzioni. Si esegue un compito impersonale assegnato oggettivamente (…) Una metodologia astratta scompone la realtà concreta dell’uomo al lavoro e quella dell’organizzazione che contiene il suo lavoro in elementi che vengono ricomposti in maniera astratta, smarrendo il mondo della vita organizzativa, il lavoro vivente”1. La critica di Novara era rivolta allo Scientific Management fondato dall’ingegnere Frederick Winslow Taylor e alla “tecnica razionale” che ispirava il suo modello di organizzazione della produzione e del lavoro.
La superumanizzazione del lavoro: organizzazione e nuove alienazioni
Dopo oltre un secolo dalla nascita del taylorismo, l’avvento di altri modelli organizzativi ha indubbiamente migliorato le condizioni di lavoro insieme all’efficienza organizzativa, con forti vantaggi per la produttività; e se l’uomo disumanizzato della alienante catena di montaggio sembra scomparso, ciò non si può dire dei disagi e patimenti contenuti nell’esperienza lavorativa, che, sebbene depurata in gran parte della fatica fisica, con la dematerializzazione del lavoro e le relative modifiche organizzative, espone anche oggi a sofferenze psichiche e a forme nuove di alienazione2. Smarrire i significati vitali del lavoro incide sul senso dell’esistenza, visto che il lavoro è un dato originario iscritto dentro ciascuno di noi; e invece che una via di compimento di sé, rischia di diventare un’estraniazione da sé, anche nell’epoca del digitale che a chi lavora chiede di mettere in gioco sensibilmente le dimensioni emotive e cognitive, le “competenze sociali” e l’affettività. Alcuni studiosi, tra i quali la sociologa francese Danièle Linhart, hanno parlato in proposito di una superumanizzazione del lavoro3.
Non è tuttavia dal lato dei massimi sistemi che appare oggi possibile affrontare la questione, né con un maquillage di ingegneria gestionale, quanto re-impiantando, attraverso una cura del terreno antropologico, il seme dell’intersoggettività e della cooperazione, riportando perciò la questione del senso nel cuore di organizzazioni troppo prese dal come fronteggiare – e difendersi da – un contesto in continuo mutamento, e alla ricerca, spasmodica quanto illusoria, di contromisure contro l’incertezza e l’inedito. Un sintomo della difficoltà ad affrontare la complessità è la semplificazione del linguaggio e l’enfasi posta nella cultura e formazione aziendale sul potenziamento individuale, volti a ridurre quella percezione soggettiva di inadeguatezza e fragilità, alimentata paradossalmente dalla stessa e insistente retorica manageriale sulla competizione. Una tendenza rilevata in un recente articolo da Fellin e Morelli, apparso sulla rivista Persona&Conoscenze, che offre uno spaccato dei linguaggi utilizzati in quello che essi definiscono l’easy&fast training :“le performance sono sempre eccellenti; la qualità è sempre totale; le decisioni sono sempre ottimali e certe; le strategie sono sempre di successo; la leadership è sempre partecipativa e circolante; le persone sono sempre resilienti; chi non è empowered non ha diritto alla parola; chi non riesce a diventare multitasking sarà certamente escluso; il personal branding è tutto ciò che conta per affermarsi nella vita; ognuno deve essere mindfullness; la padronanza totale delle proprie emozioni è indispensabile…….”4.
Le organizzazioni sono sistemi viventi: l’importanza del con-senso
Le organizzazioni però non sono sistemi meccanici, né le persone che le abitano sono gli ingranaggi che li fanno girare. Le organizzazioni sono sistemi viventi, che si alimentano del senso, delle motivazioni e dei significati suscitati al loro interno da ogni individuo, nella relazione con gli altri e con il contesto. Secondo Karl Weick – psicologo, tra i maggiori studiosi del comportamento organizzativo – la realtà non ha un senso intrinseco già dato, ma si costruisce con i significati attribuiti ad essa da chi la vive e la osserva dall’interno; per cui i processi di creazione di senso (sensemaking) coincidono con i processi di organizzazione (organizing)5. Con le parole di Ugo Morelli, potremmo dire che ogni organismo vivente, “appare non specificato dalle proprie componenti ma come prodotto unico di un processo autogenetico (…) così come ogni sistema vivente incorpora certe relazioni costanti nel tempo che ne caratterizzano la totalità e non sono determinate dalle equazioni delle relazioni tra le parti, ma sono appunto, proprietà emergenti del sistema”6. In quest’ottica, Francesco Novara considerava guaribile l’organizzazione. Nell’immaginarla come un organismo biologico, che plasma il suo ambiente e ne è plasmato, “nella luce dell’autopoiesi dei sistemi viventi” 7. Nessuna organizzazione si può disegnare a tavolino, anche potendo disporre di bravi tecnici; è infatti la ricerca dei significati che definisce quel framing emotivo e cognitivo individuale che in una dinamica co-educativa e co-evolutiva può ispirare orientamenti, scelte e azioni che, come direbbe Humberto Maturana – che con Francisco Varela ha fondato il concetto di autopoiesi 8– è il modo di generare e convivere in un “dominio di consenso”9. Non è una questione di volontà, né di competenze tecniche, ma di prendere parte a una “danza emozionale”. Il tema è eminentemente educativo, e attiene all’educazione sentimentale e all’attivazione e cura dei codici affettivi, in quanto “la capacità di partecipare ad un dominio di consenso si trova nelle emozioni” e nell’imparare ad ascoltare “l’altro nel dominio dove quello che dice è legittimo (…), un atteggiamento che la nostra cultura nega”10. La costituzione dei viventi avviene in due domini: nella individuale dinamica fisiologica e nell’interazione con gli altri, e ciò accade anche per le organizzazioni, che vivono di una dinamica interna e di un’apertura e interazione con l’esterno.
Per Maturana, il motore di questo autogenerarsi delle persone e delle organizzazioni è l’amore, che è l’origine e non il risultato della socializzazione umana, come invece vorremmo, perché – sottolinea – “a noi piace che le relazioni che distruggono l’amore, come la competizione, siano relazioni sociali legittime. La competizione è antisociale, la competizione come attività comporta la negazione dell’altro: la competizione è la negazione dell’amore”11. E l’amore, per Maturana è “un fenomeno biologico che non necessita di alcuna giustificazione: l’amore è un adattamento dinamico reciproco spontaneo, un avvenimento che può verificarsi oppure no”12.
L’amore è l’emozione che fonda il sociale
“L’amore è l’emozione che fonda il sociale” e apre, ancora una volta oggi, all’homo sapiens la possibilità di ri-scoprire la sua dimensione originaria, che è quella del cooperare. E che si può apprendere solo prendendo parte a quella “danza emozionale” che si crea nell’incontro dei corpi, delle differenze, che trova nutrimento nel conflitto e nella negoziazione, se si vuole trasformare una banale esperienza di condivisione e un’ordinaria vita organizzativa, in un “dominio di consenso”. Un processo di apprendimento che si iscrive in quella educazione che Maturana definì “una conversazione infinita”, la quale non può essere ridotta a un catalogo di corsi, a una rassegna di tecniche e competenze, e a un’indicazione precettiva di assunti morali e comportamentali. Come scriveva Paolo Perticari in proposito, non parliamo di una concezione didattica, quanto di dare un senso alle situazioni e di sviluppare un’abilità per rapportarsi all’inatteso. Un apprendimento fondato sul teach-back, invece che sul feed-back, cioè su un “insegnamento di ritorno”, che è il “riferimento dialogico operativo che consente di passare da un’idea di risonanza, in cui rimangono invariati i ruoli di chi insegna e di chi apprende, a una dinamica di insegnamenti reciproci…”, che deve assomigliare “all’atto di tessere qualcosa di delicato e prezioso, fatto di tanti intrecci e filamenti finemente intrecciati insieme; porta sempre con sé il fascino di un artigianato, del mistero, qualche volta della propria ignoranza con la quale trovarsi vis-à-vis….”13.
I soggetti viventi, nella prospettiva di Humberto Maturana, sono anche i soggetti della conoscenza. E se vivere è conoscere, l’amore è il linguaggio e il contenuto per eccellenza dell’apprendimento nella nostra vita: ossia, imparare a riconoscere la radice autogenerativa di sé stessi, e – al contempo – a lasciare socchiusa la porta all’altro, che ci costituisce e ci individua. E ci aiuta a cambiare, perché, “per ogni essere vivente, il vivere accade come una storia di cambiamenti strutturali nella quale essere vivente e circostanze cambiano insieme; non ci rendiamo conto che le circostanze cambiano con noi, perché pensiamo che una circostanza sia lì in modo costante”14.
1 F. Novara, Si può guarire l’organizzazione?, http://www.aislonline.org/Portals/0/Download/Novara-1.pdf
2 R. Jaeggi, Nuovi lavori. Nuove alienazioni, Castelvecchi, 2020
3 D. Linhart, La commedia umana del lavoro, Mimesis/Piani di volo, 2021
4 E. Fellin, U. Morelli, Easy & Fast Training. Dalla formazione apparente alla formazione inesistente, in Persona&Conoscenze, Gennaio 2020
5 K. E. Weick, Senso e significato nelle organizzazioni, Raffaello Cortina, 1997
6 U. Morelli, Incertezza e organizzazione, Raffaello Cortina Editore, 2009
7 F. Novara, Si può guarire…..op.cit.
8 H. Maturana, F. Varela, Autopoiesi e cognizione, Marsilio, 1985
9 H. Maturana, Epistemologie e discipline, https://oppi.it/wp-content/uploads/1997/07/oppidoc_75-76_1997.pdf
10 H. Maturana, Epistemologie…op. cit.
11 H. Maturana, Epistemologie…op. cit.
12 H. Maturana, Epistemologie…op. cit.
13 P. Perticari, Riconoscimento reciproco, identità, apprendimenti: verso una prospettiva delle attese sorprese, in https://oppi.it/wp-content/uploads/1997/07/oppidoc_75-76_1997.pdf
14 H. Maturana, Epistemologie…op. cit.