Vitalità sociale e disegno istituzionale: per una democrazia fondata sul lavoro

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La trama delle istituzioni pubbliche è disegnata dalla Costituzione, nella parte cosiddetta organizzativa della Carta fondamentale. Ma la Costituzione conforma anche istituzioni sociali, che non sono abbandonate agli assetti spontanei dei rapporti fattuali perché in questi rischierebbe di incistarsi il potere privato che esalta la libertà di qualcuno (in condizione di forza), riducendo però a soggezione quella di altri. Si pensi anzitutto al mercato, ma perfino alla famiglia: già in questa “società naturale” (come la definisce l’art. 29 Cost.), che pure fisiologicamente è tenuta insieme da un amore spontaneo, c’è bisogno della conformazione giuridica, affinché la famiglia sia effettivamente e resti un luogo di cura e di apertura, basato sulla “eguaglianza morale e giuridica dei coniugi”, e non degradi a spazio privato e nascosto di una sopraffazione o di una violenza inibitrici. Nel disegnare le istituzioni sociali e pubbliche, la Costituzione non è assiologicamente neutra, ma mira a tradurre in criteri di organizzazione della convivenza i principi fondamentali che la ispirano. Tra questi, in particolare, il principio personalistico veicola l’idea che la libertà e l’eguaglianza umane non siano acquisizioni originarie e scontate, ma siano precedute e generate da una cura ricevuta entro legami sociali e che, pertanto, a questo compito di cura la Repubblica complessivamente sovrintenda (art. 3, c. II, Cost.) e ogni uomo e ogni donna contribuisca (art. 4). È questa chiamata alla corresponsabilità a caratterizzare le libertà costituzionali di cui il lavoro è forma archetipica, in quanto espressione di una libertà che, riconoscendo il proprio debito rispetto a una cura ricevuta, si svolge nella restituzione, adempiendo doveri di solidarietà politica, economica e sociale. Tale restituzione non avviene però secondo forme massificanti che sacrifichino e schiaccino l’individuo, ma valorizzando l’irripetibilità, la creatività e la partecipazione di ogni persona. La democrazia fondata sul lavoro esprime proprio questo ideale di convivenza cooperativa, cui ognuno è chiamato a dare forma, apportando il proprio contributo. La dinamica tra riconoscimento delle forme autonome della socialità umana e la loro conformazione in vista dei principi di libertà uguaglianza e partecipazione rappresenta il movimento fondamentale della nascita e della riforma delle istituzioni. In queste deve sempre potersi scorgere la vitalità e la socialità umana che vi scorrono, come fossero linfa, pena altrimenti l’essiccazione dei dotti istituzionali. È questa la tragedia delle istituzioni politiche: non vi si coglie più sotto la vitalità della partecipazione civica. L’anti-coagulante, per così dire, dovevano essere i partiti che invece sono diventati agenti della formazione di grumi e della cristallizzazione patologica delle istituzioni, bloccando la circolazione di persone e idee. Non tutto è finito, però. E attenzione a soluzioni che, più che a ricette, somigliano a colpi di grazia. La partecipazione non è finita. Essa scorre in forme più fluide e disorganizzate, formando rivoli plurali che faticano a convergere in canali strutturati e che scansano accuratamente i partiti. È una società a legami fragili quella che conosciamo. L’impegno sociale è frammentato, spesso individualizzato e predilige la concretezza. Alla luce di questo contesto, è necessario ri-pensare le istituzioni politiche, restituendo loro il ruolo di veste di una partecipazione che sia momento di fioritura dell’umano in tutte le sue esaltanti e complesse differenze. Il popolo sovrano costituzionale è questo: la convivenza e la cooperazione tra le articolazioni sociali e istituzionali che le persone continuamente intessono, abitano e rinnovano. Occorre pertanto osservare attentamente la dinamica sociale. Essa è meno statica e ripiegata di come viene descritta. Forme di partecipazione e di cittadinanza fioriscono dal basso (si pensi ai patti di collaborazione sui beni comuni), spesso negli interstizi e nella disattenzione della sfera politica ufficiale. Sono convinto che occorra rilanciare il disegno autonomistico della nostra Costituzione, puntando su quelle istituzioni, i Comuni in primis, che, essendo a contatto con la grana fine della partecipazione sociale, possano “capacitarne” le fragili energie e rimetterle in circolo sinergico con l’azione istituzionale. E così pure, su altro livello, le istituzioni sociali (sindacato) e politiche devono intercettare la dinamica complessa del lavoro, perché questo torni, secondo gli auspici della Costituzione, a essere luogo essenziale di fioritura della creatività personale e momento di costruzione di una democrazia capace di permeare le forme della vita.  

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