La parola mercato è una di quelle di cui tutti conosciamo il significato, la realtà che pensiamo essa rappresenti, nonché i meccanismi di funzionamento di quella realtà. O no?
No.
Nella sua accezione più diffusa, per mercato si intende il luogo, fisico o digitale, nel quale avvengono gli scambi di merci e servizi: il mercato del venerdi, il mercato ittico, il mercato del lavoro. (Del mercato del lavoro, di cui è stato scritto che è il più importante tra tutti i mercati e che in effetti lo è, non posso parlare ora, chè occorrerebbe tempo e spazio che è meglio dedicargli in maniera speciale.)
Nella sua accezione un poco più nobile di quella di ‘luogo degli scambi’, il mercato è il luogo in cui si formano i prezzi. Nella nostra vita quotidiana nessuno di noi vive mai questa esperienza: mentre la teoria dice che il prezzo di mercato di una merce è la risultante dell’incontrarsi di domanda e offerta di quella merce, di fatto noi consumatori troviamo il prezzo già annunciato dai venditori, e a quello dobbiamo adeguarci. Una rappresentazione falsa, dunque, quella del mercato come luogo in cui si formano i prezzi? No, è soltanto una rappresentazione semplificata della realtà, non è una falsità. 26Nella sua accezione un poco più nobile di quella di ‘luogo degli scambi’, il mercato è il luogo in cui si formano i prezzi. Nella nostra vita quotidiana nessuno di noi vive mai questa esperienza: mentre la teoria dice che il prezzo di mercato di una merce è la risultante dell’incontrarsi di domanda e offerta di quella merce, di fatto noi consumatori troviamo il prezzo già annunciato dai venditori, e a quello dobbiamo adeguarci. Una rappresentazione falsa, dunque, quella del mercato come luogo in cui si formano i prezzi? No, è soltanto una rappresentazione semplificata della realtà, non è una falsità.
Questa rappresentazione semplificata ci seve molto però, in particolare perché ci fa capire bene che il prezzo di equilibrio, quello a cui avviene lo scambio perché compratore e venditore si sono trovati d’accordo, non è quel che le parole lasciano intendere: il prezzo non è il risultato dell’incontro ‘democratico’ della domanda e dell’offerta: l’offerta, cioè le imprese, annuncia il prezzo (che poi la distribuzione ci metta sopra il suo margine di ricarico non ci interessa in questa sede), il consumatore, cioè la domanda, lo accetta o meno. Il processo è evidentemente asimmetrico, anche se è vero che la domanda deve ‘validare’ la richiesta dell’offerta perché lo scambio avvenga.
Per capire quanto potente sia l’azione del mercato nel momento in cui esso fissa un prezzo di equilibrio, occorre pensare che le variazioni di tale prezzo nel tempo e nello spazio sono un segnale agli agenti economici, tanto quelli che domandano che quelli che offrono. Questi ultimi reagiranno ad un aumento del prezzo aumentando la propria produzione, il che potranno fare aumentando l’impiego, cioè la domanda, di capitale, lavoro, materia nelle proporzioni appropriate; mentre i primi ridurranno la propria domanda e sposteranno il proprio potere d’acquisto verso altre merci e servizi. A volerlo dire in modo formale, gli economisti dicono che i prezzi determinano l’allocazione delle risorse, cioè la destinazione di lavoro e capitale in diversi settori produttivi: in generale, ci aspettiamo che l’aumento del prezzo dei beni industriali rispetto a quelli agricoli segnali al lavoro e al capitale che, in via di principio, salari e profitti nel settore industriale saliranno rispetto a quelli prevalenti nel settore agricolo. Vediamo dunque con chiarezza quale sia la potenza del mercato: certo, luogo di scambio, ma anche e soprattutto luogo in cui si genera il segnale che lavoro e capitale, le risorse, appunto, utilizzeranno per decidere la propria collocazione produttiva.
Quando si veda con chiarezza il ruolo del mercato nell’economia ‘di mercato’, appunto, si vede anche che, a differenza di quanto avviene nelle economie di sussistenza e in quelle di comando, esso costituisce il momento cruciale del funzionamento di questo tipo di economia: il mercato è potentissimo perché, annunciando i prezzi di equilibrio tra domanda e offerta di merci, esso induce i fattore produttivi a riallocarsi in coerenza con la loro pulsione a ricevere la massima remunerazione per il contributo che danno alla produzione di valore. In una forma di economia di mercato pura, un tale potere non può essere lasciato risiedere nel mercato senza che esso venga guidato, regolato, istituzionalizzato: il mercato è un’istituzione, perché il suo funzionamento è sottoposto alle leggi, ai regolamenti, alla supervisione dello Stato. Che ciò sia necessario lo si vede dall’esistenza di due classi di problemi tipici delle economie di mercato ‘pure’. Anzitutto, i beni pubblici, cioè quelle merci che non sono appropriabili, cioè per le quali il consumo da parte di un agente economico non esclude il consumo da parte di altri, così che nessun agente è disposto a spendere per ottenere la possibilità di consumarlo; inoltre, il mercato non riesce a trovare un prezzo di equilibrio anche perché non esiste privato che sia disposto a produrlo, visto che non vi sono privati disposti a pagarlo: si pensi alla difesa nazionale, per la quale la domanda esiste ma l’offerta privata no.
In secondo luogo, anche non abbiamo menzionato esplicitamente la cosa, in quanto detto fino ad ora abbiamo assunto l’esistenza di condizioni di concorrenza tra agenti che domandano e agenti che offrono. Ma sappiamo bene che questo non è il caso, anzi, sappiamo bene che nelle economie di mercato si formano posizioni di monopolio e di oligopolio che impongono prezzi di equilibrio più alti, e quantità di equilibrio più basse, di quelli ottenibili in condizioni concorrenziali.
Il termine istituzione deriva da istituire, cioè stabilire un ordine, regolare. Il mercato è istituzione in quanto oggetto di regolazione da parte dello Stato, una regolazione che ha il compito prioritario di limitarne, indirizzarne e, perché no se del caso, validarne i meccanismi di formazione dei prezzi e di allocazione delle risorse. Le economie di mercato trovano grandi difficoltà ad invertire cicli economici recessivi, come si è visto nella Grande Recessione originatasi nel 2007, perché le ragioni che spingono la singola impresa a non investire sono le stesse che spingono tutte le altre a non investire, e i motivi per cui le famiglie aumentano i propri risparmi in una crisi sono validi per tutte le famiglie. I mercati trovano grandi difficoltà a mantenere forme concorrenziali, che sono quelle più favorevoli ai consumatori. I mercati producono polarizzazioni crescenti nella distribuzione del reddito e della ricchezza tra classi sociali. Rientra pertanto necessariamente tra i privilegi e i doveri dello Stato la formulazione delle politiche economiche, quali sono le politiche anticicliche di spesa da parte del governo; le politiche che favoriscono il prevalere di forme di mercato concorrenziali e la limitazione dei poteri di monopolio; le politiche di redistribuzione del reddito mediante prelievo e trasferimenti.