Il mio punto di vista è quello di un ottimista sfegatato: mi auguro che presto chiudiamo questo tribolato periodo e torniamo a fare il nostro lavoro
C’è chi dice che siamo fatti per il 90% dei film che viviamo, io aggiungerei, allargando il discorso, che siamo fatti per il 90 % della cultura che viviamo; siamo fatti di musica, film, arte, letteratura perché li metabolizziamo e li facciamo nostri nei comportamenti che abbiamo, nei pensieri che elaboriamo. È fondamentalmente la cultura che crea l’uomo così come lo conosciamo; le persone si possono identificare anche in base ai libri che hanno letto, ai film che hanno visto, alla musica che hanno ascoltato.
Partendo da questa premessa secondo me la cultura è struttura portante per la formazione di una società, di un Paese, anche perché ormai fa parte del meccanismo economico di un Paese. Diversamente dal pensiero di quel ministro che una decina di anni fa sosteneva che con la cultura non si mangia sostengo che l’Italia vive grazie alla cultura, alla sua storia, a tutto quello che ha nelle proprie radici!
Sottolineo quindi l’importanza di avere una base culturale forte, magari aiutata a crescere e svilupparsi anche con finanziamenti statali. Lo si è fatto per il cinema italiano ma non per la musica: si è sempre pensato alla musica come un mondo di privilegiati, di ricchi fannulloni che vivono di rendita e stanno a casa divertendosi a bordo piscina, cosa che può valere solo per alcuni, ma vi garantisco che per come è il mondo oggi, a prescindere dal Covid, per come la musica è sfruttata attraverso internet, la situazione è difficile e complicata da anni. Lo dimostra il fatto che rispetto al passato ci sono cantanti internazionali famosi che per mantenere reddito e status sociale fanno un tour all’anno anziché ogni 5 o 6 anni come quando ero ragazzo.
Ribadisco il concetto che se riusciamo a trovare la capacità, il tempo e la voglia di ascoltare e di sentire le persone che lavorano nell’arte o nella musica, allora la cultura andrà avanti e ripartirà. In
questo particolare momento è lo Stato che dovrebbe essere vicino al mondo della cultura o dello spettacolo, cercando di sovvenzionare chi adesso non ce la fa, di aiutarlo, contribuendo magari a creare un nuovo modo di percepire il teatro, la musica, il cinema o i libri
Tornando al discorso sulla cultura in questo triste momento caratterizzato dalla pandemia, il Paese ne ha bisogno ma non solo ora soprattutto dopo, avremo bisogno di una colonna sonora che accompagnerà la rinascita da quel che lascerà il Covid, la ricostruzione dalle macerie causate da questo maledetto virus. Perché ogni ripartenza ha la sua colonna sonora, storicamente è così. Certo, non saranno canzoni che tutti suoneranno o canteranno, che passeranno nelle radio, ma saranno canzoni che lasceranno il segno nel futuro, raccontando alle generazioni che verranno la storia drammatica che stiamo vivendo.
Il mio punto di vista è quello di un ottimista sfegatato: mi auguro che presto chiudiamo questo tribolato periodo e torniamo a fare il nostro lavoro. Sono fermo praticamente da febbraio e i pochi concerti fatti quest’estate sono stati un po’ di ossigeno non solo a livello economico ma soprattutto per la mente. Non bisogna mai dimenticare che chi lavora con la propria arte ha bisogno di viaggiare, di vedere luoghi nuovi, confrontarsi con la gente. Dover stare rinchiusi in casa, obbligati a non muoversi, diventa deleterio, annulla l’ispirazione, intorpidisce la mente. Tutto serve per aumentare la conoscenza personale e la capacità di scrittura, nel mio caso di canzoni, ma potrebbe valere anche per uno sceneggiatore di un film o per un autore di libri.
Chi è che ne potrà soffrire maggiormente? Forse quel mondo Pop, fatto di canzoni usa e getta di cui siamo letteralmente invasi, chi magari non ha più molte cose da dire subirà l’impatto di questa situazione. Chi ha cose importanti da dire troverà sempre qualcuno che avrà voglia di ascoltarle.
Ribadisco il concetto che se riusciamo a trovare la capacità, il tempo e la voglia di ascoltare e di sentire le persone che lavorano nell’arte o nella musica, allora la cultura andrà avanti e ripartirà. In questo particolare momento è lo Stato che dovrebbe essere vicino al mondo della cultura o dello spettacolo, cercando di sovvenzionare chi adesso non ce la fa, di aiutarlo, contribuendo magari a creare un nuovo modo di percepire il teatro, la musica, il cinema o i libri.
In questi mesi ho partecipato a diversi incontri dove si parlava di questi temi in relazione al Coronavirus, ho sentito delle proposte anche interessanti da parte di alcuni politici, mi auguro che non siano state solo parole al vento, ma idee concrete, per rendere tranquilli chi, come me, vive un lavoro precario per natura. Faccio un lavoro meraviglioso, vero, che ti dà un sacco di soddisfazioni (più personali che economiche), però è di una precarietà mostruosa e trovare il modo di garantire un pizzico di “serenità” a chi vuol far musica, scrivere canzoni per raccontare il Paese in cui vive, beh non sarebbe male.
Vorrei terminare facendomi portavoce di una proposta concreta fatta da uno dei politici presenti agli incontri sopracitati, una soluzione banale ma che potrebbe essere importante per chi fa questo mestiere: rivalutare l’agibilità Enpals per i musicisti, fatta per motivi pensionistici: un concerto non è fatto solo del giorno dell’evento ma ha bisogno di un periodo di prove senza
dimenticare il tempo di viaggio che intercorre tra una tappa e l’altra, insomma si potrebbe riconoscere questa agibilità per qualche giorno in più rispetto alla singola data dello spettacolo.