PerchĂ© lâignoranza mangia lâanima e uccide lâimmaginazione? Tra le altre risposte, cercando di capirci qualcosa, possiamo individuare due processi contro cui agire: la macchina di produzione dellâignoranza e lâobsolescenza programmata dellâesperienza.
Ha sostenuto Richard Feyneman che lâobiettivo dellâinsegnamento non dovrebbe essere aiutare gli studenti a imparare come memorizzare e sputare informazioni sotto la pressione accademica. Lo scopo dellâinsegnamento Ăš ispirare in loro il desiderio di imparare e favorire la loro capacitĂ di pensare, comprendere e porre questioni.
La macchina di produzione dellâignoranza tende a funzionare allâopposto dellâorientamento del grande fisico premio Nobel, appena citato.
Contro lâindifferenza e la passivitĂ affettiva che ne derivano esiste un solo antidoto, la cultura.
Se un bambino africano di circa tre anni puĂČ esclamare, piccolo comâĂš ai piedi di un enorme albero, âsembra la zampa di un uccello molto grande, ma non vola!â, Ăš perchĂ© possiede molte conoscenze di base e quelle simboliche e creative, che gli consentono quel combinato di ingenuitĂ e genialitĂ che emerge dalla sua frase. Quel bambino ha una teoria della forma; conosce la distinzione tra regno animale e vegetale; distingue tra esseri che volano e che non volano; conosce il volo e le sue modalitĂ ; sa utilizzare un motto di spirito; dispone del metodo comparativo, e cosĂŹ via.
Ma come e dove nasce lâimmaginazione?
Non ne sappiamo molto, ma sappiamo alcune cose che meritano considerazione.
La prima di queste, forse, Ăš che lâimmaginazione ha a che fare col dubbio.
Vai sullâincerto che va meglio, Ăš un orientamento generativo e efficace per lâimmaginazione.
Lâinconscio Ăš di per sĂ© declinato al futuro e non al passato, e lâimmaginazione accade, piĂč che essere cercata o prevista.
Possiamo essere un lievito che lievita e non un lievito che ammuffisce, solo se guardiamo le cose dal loro margine e dal loro lato incerto e instabile, in modo proiettivo e non solo introiettivo.
Diceva Adriano Olivetti: âIn me non câĂš che futuroâŠâ
Tornando al nostro bambino africano, lâapertura immaginativa sta in quel âperĂČâ: da lĂŹ si diparte lâesplosione con cui non solo scopre il âcome seâ (as if), la potenza della simulazione e dellâillusione insieme, ma lâimmaginazione di una possibilitĂ , quella del volo di un uccello cosĂŹ grande, nel momento stesso in cui la nega.
Il dubbio nasce dallâignoranza, la quale puĂČ essere intesa in almeno due modi. Lâignorare i fenomeni senza farsi domande, abitando una presunzione di completezza. O il vuoto che apre a domande anche inedite, certo inquietanti, ma potenzialmente generative. Questo secondo modo Ăš stato affrontato con la solita acutezza da Ludwig Wittgenstein: âsi puĂČ dubitare soltanto se si sono imparate certe coseâ; âpuĂČ dubitare soltanto chi conosce giĂ una âragione di dubbioââ [Osservazioni sulla filosofia della psicologia, II, Adelphi, Milano 1989; §343, §344]. Ă come se Wittgenstein, come mi ripeteva spesso Aldo Giorgio Gargani, che a Wittgenstein aveva dedicato una parte importante della propria vita di studi, voglia indicarci che bisogna pur appoggiare o puntare i piedi da qualche parte per afferrare qualche cosa.
Una domanda da farci, di particolare importanza, nel tempo dellâavvento dellâanalfabetismo di secondo grado e della crisi dellâimmaginazione, Ăš dove finiscano le risorse affettive e cognitive di una bambina e di un bambino, oggi, e perchĂ© quella crisi si traduca in uno dei maggiori rischi attuali: il conformismo che vincola cosĂŹ pesantemente la capacitĂ di immaginare ogni futuro possibile.Â
La parte su cui appoggiamo i piedi per afferrare un insight o atto immaginativo, Ăš quella nella quale non crediamo â credenza e veritĂ non riguardano lâimmaginazione, anzi la ostacolano -, ma Ăš quella verso la quale abbiamo fiducia, una fiducia seppur provvisoria, ma fiducia.
In Della certezza, uno dei vertici delle sue considerazioni, il âterzo Wittgensteinâ, come qualche accademico professionista, mai pago di classificazioni e di analisi dei pensieri a pezzetti, (alla stregua di salumieri), commentatori e chiosatori ad oltranza senza assumersi mai la responsabilitĂ di uno straccio di pensiero rischiante, definisce lâultimo periodo della sua ricerca, il filosofo viennese scrive: âA un certo punto non devo pur cominciare a fidarmi? CioĂš in un punto o nellâaltro devo cominciare con il non dubitare; e questo non Ăš, per cosĂŹ dire, precipitoso, ma scusabile, ma anzi fa parte del giudicareâ [Della certezza, Einaudi, Torino 1978; §150].
Una domanda da farci, di particolare importanza, nel tempo dellâavvento dellâanalfabetismo di secondo grado e della crisi dellâimmaginazione, Ăš dove finiscano le risorse affettive e cognitive di una bambina e di un bambino, oggi, e perchĂ© quella crisi si traduca in uno dei maggiori rischi attuali: il conformismo che vincola cosĂŹ pesantemente la capacitĂ di immaginare ogni futuro possibile.
Dobbiamo chiederci, inoltre, perché siamo cosÏ impegnati a difendere un immediato passato e un presente falliti, invece che investire in eccedenza rispetto al presente e immaginare futuri possibili.
Tra le altre risposte, cercando di capirci qualcosa, possiamo individuare due processi contro cui agire: la macchina di produzione dellâignoranza e lâobsolescenza programmata dellâesperienza.
Da âuno vale unoâ al negazionismo, dallo sfarinamento dellâinsegnamento delle conoscenze di base alla profonda crisi di autoritĂ nelle relazioni educative asimmetriche, dal disinvestimento nella cultura e nei sistemi educativi alla scomparsa della formazione culturale e riflessiva; dalla cosiddetta conoscenza in pillole alle fake news; la crisi di accessibilitĂ alle fonti della conoscenza e la non disponibilitĂ dei codici di accesso e di selezione della conoscenza, configurano di fatto una macchina di produzione dellâignoranza che funziona in modi molto efficienti.
La scelta sempre piĂč diffusa del neo-liberismo, per far fronte alla sovrapproduzione e alla caduta della domanda, e per mantenere alto il tasso di profitto, di accantonare lâamore per il prodotto, trasformando tutto in commodities, ha portato a produrre e distribuire quelli che continuiamo a chiamare beni, ma che a tutti gli effetti sono mali, programmandone allâorigine lâobsolescenza sempre piĂč rapida, sia perchĂ© i prodotti sono fatti per rompersi, sia per la compulsione del cosiddetto effetto moda. Ă il costrutto di âfallimentoâ programmato, di cui si occupano Arjun Appadurai e Neta Alexander, [Fallimento, Raffaello Cortina Editore, Milano 2020]. Dai prodotti, per osmosi culturale e psichica, lâobsolescenza programmata si Ăš trasferita allâesperienza. Lâesperienza non Ăš piĂč qualcosa che si vive, su cui si sosta, sulla cui unicitĂ irripetibile si riflette, per cercarne altre e molteplici versioni e possibilitĂ , ma qualcosa che si fa. Si fa e si mette da parte. Come nel gesto compulsivo dello scartare regali, sia nel senso di togliere lâinvolucro, sia nel senso di metterli da parte per sempre nel ripostiglio saturo delle nostre case e delle nostre menti, non avendo avuto alcun significato per noi se non lâatto formale e di penosa buona educazione di dire grazie, mentre memorizziamo lâobbligo di ricambiare.
Ă cosĂŹ che, tra lâaltro, lâignoranza delle conoscenze e quella sentimentale ci mangiano lâanima e uccidono prima che nasca lâimmaginazione.