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L’agricoltura del futuro tra lavoro e passione

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Il lavoro dell’agricoltore oggi richiede di mettere in campo soluzioni concrete alle nuove sfide che derivano dai cambiamenti climatici, dalla necessità di rendere maggiormente sostenibile la produzione alimentare e dall’aumento dell’estensione delle città, oltre che delle popolazioni umane 

Negli ultimi anni possiamo senza dubbio dire di essere circondati dal cibo. Lo siamo al supermercato e nel frigorifero di casa, così come il cibo è ormai protagonista di numerose trasmissioni televisive e libri. Non ci interessa però solo il cibo, ma vogliamo conoscere anche il modo e i luoghi in cui è prodotto e sempre più spesso ci facciamo affascinare dall’idea di andare ad acquistare non un alimento, ma una sorta di pacchetto composto dal cibo e dalla storia di chi lo ha prodotto. Per cui facciamo colazione con il caffè di Anna e lo zucchero di Marco, per poi continuare con un pranzo che deve essere sostenibile per l’ambiente, a kilometri zero, biologico, biodinamico e rigorosamente economico, anzi a volte ci piace anche trovarlo in offerta, addirittura in vendita in sotto costo. 

Quando poi pensiamo agli agricoltori, li immaginiamo come filosofi della natura, che ogni giorno raccolgono i frutti di madre Terra e guai se cercano di mettere la parola profitto accanto al cibo, perché l’agricoltura è una passione prima di essere un lavoro. O no?  

Il lavoro nei campi è sicuramente la concretizzazione di una passione che ogni agricoltore ha, ma lavorare in campagna oggi richiede anche fare i conti con problemi di costi, rese non garantite, produttività altalenanti per cause climatiche, trattamenti da fare per combattere un numero crescente di specie invasive che arrivano e letteralmente si mangiano ciò che gli agricoltori avrebbero voluto vendere. 

Il lavoro dell’agricoltore oggi richiede di mettere in campo soluzioni concrete alle nuove sfide che derivano dai cambiamenti climatici, dalla necessità di rendere maggiormente sostenibile la produzione alimentare e dall’aumento dell’estensione delle città, oltre che delle popolazioni umane. Sono sfide complesse, ma abbiamo oggi a disposizione numerosi strumenti per una nuova rivoluzione verde che sarà trainata dall’informatica, dall’ingegneria e dalla genetica e da questa necessità è nata l’idea del libro “Nove miliardi a tavola”, pubblicato per le Chiavi di Lettura di Zanichelli. 

“Nove miliardi a tavola” illustra numerosi esempi di innovazioni che possono essere messe in campo e ricorda ai lettori che le innovazioni non sono minacce per la tradizione: innovare è la cosa più tradizionale che possiamo trovare in agricoltura. L’agricoltura da sempre ha adottato nuove idee, nuove strategie, nuove soluzioni per garantire a tutti cibo sano, sicuro ed economico. 

Tutti vogliamo acquistare alimenti naturali e prodotti in modo sostenibile e molti pensano che questo sia possibile tornando all’agricoltura del passato, all’agricoltura delle nostre nonne. Questa è certamente un’immagine suggestiva, ma non è affatto realistica. Non è con gli strumenti delle nostre nonne che i nostri nipoti potranno vincerle. L’agricoltura sarà sostenibile solo se forniremo agli agricoltori nuove varietà vegetali e strumenti innovativi per prendere decisioni ricorrendo a sensori, droni e computer.  

L’agricoltura italiana è tra le prime in Europa per valore economico e tutti sono fieri del made in Italy in termini di prodotti alimentari, ma la categoria degli agricoltori resta tra quelle con il reddito medio più basso d’Italia.  Se non faremo nulla, ci perderemo gli agricoltori 

Il lavoro dell’agricoltore deve essere sostenuto dalla politica, cui dobbiamo chiedere di finanziare di più la ricerca e lo sviluppo di tutte le filiere agroalimentari. Basti pensare che la spesa pubblica in Italia in ricerca e sviluppo in agricoltura è inferiore ai cinque euro a persona, rispetto ai venti euro dell’Irlanda. “Nove miliardi a tavola” ci invita a ricordare che solamente innovando riusciremo a essere competitivi e sostenibili: innovare è il modo migliore per tutelare la tradizione su cui si basa il made in Italy

Si narra che nella notte del 12 aprile 1814, Napoleone disperato per le gravi sconfitte decise di farla finita e tentò il suicidio usando una miscela di oppio, belladonna ed elleboro bianco che portava sempre con sé in un piccolo contenitore nero. Sfortunatamente, nei due anni passati al collo di Napoleone, il veleno aveva perso di efficacia e Napoleone soffrì a lungo, ma non morì.  

La mancanza di adeguati finanziamenti alla ricerca, il sapere nostalgico e la lentezza con cui la politica risponde alle necessità del mondo agricolo sono i tre componenti della miscela che sta oggi “avvelenando” l’agricoltura, ma a differenza di quanto accadde a Napoleone questa miscela viene ricorrentemente rinnovata, per cui può essere ancora letale.  

Non ci credete? L’agricoltura italiana è tra le prime in Europa per valore economico e tutti sono fieri del made in Italy in termini di prodotti alimentari, ma la categoria degli agricoltori resta tra quelle con il reddito medio più basso d’Italia.  Se non faremo nulla, ci perderemo gli agricoltori.  

Appesa al collo degli agricoltori è presente una piccola fialetta velenosa, ma ciascuno di noi, tanto cittadino quanto politico, può fare la propria parte per rendere quella miscela innocua. Lavorando tutti assieme potremo sederci, tutti e nove miliardi, a tavola per goderci i sapori e i profumi che ormai da diecimila anni gli agricoltori con la loro passione e competenza ci permettono di portare nelle nostre cucine.  

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