Amato Lamberti ha dato un contributo notevolissimo, unico, per certi versi fondativo, alla crescita di un approccio interdisciplinare e integrato al fenomeno camorristico, e proposto una lettura non conformista e non stereotipata della camorra contemporanea. Un’eredità da non dispendere perché metodologicamente ricca
Se c’è un’eredità di pensiero strategico nella lotta alla camorra contemporanea, che ha offerto criteri ermeneutici significativi e definitivi circa un fenomeno tanto violento quanto pervasivo della società e dell’economia italiana, è quella che ci ha lasciato Amato Lamberti. La camorra, come l’ha studiata e raccontata Lamberti fin dagli anni ’80 e per 30 anni, non è solo criminalità organizzata, come spesso nella retorica corrente è stata e viene descritta e considerata, quanto un sistema di potere complesso, una lobby politica-imprenditoriale-criminale, che come egli stesso specificava si nutre di attività illegali, di attività legali gestite in forme e modi illegali, di attività legali finanziate con denaro proveniente da attività criminose (Lamberti A., 1983, Materiali per una analisi sociologica del fenomeno camorra, «Osservatorio sulla camorra», I, 1, maggio).
Docente di “Sociologia della devianza e della criminalità” all’Università “Federico II” di Napoli, nel 1981 aveva fondato e diretto fino al 1993 l’Osservatorio sulla camorra della “Fondazione Colasanto” della Cisl campana. Dal 1993 al 1995 fu Assessore alla Normalità al Comune di Napoli, nella prima giunta Bassolino. Fondatore dei Verdi in Campania, dal 1995 al 2004 fu Presidente della Provincia di Napoli. Scomparso nel 2012, a 69 anni, Amato Lamberti grazie alla sua attività di ricerca e studio, scientificamente rigorosa e scevra da ogni finalità che non fosse quella di far comprendere la radice profonda e l’identità autentica della camorra, si impegnò a combattere una retorica e l’utilizzo di un linguaggio sulla camorra che tendeva a semplificarne le categorie interpretative. Un punto fermo della sua comunicazione sul tema, e soprattutto della sua ottica di studioso del fenomeno, fu quella di distinguere in maniera radicale i concetti di criminalità organizzata e di camorra. La prima, secondo questo schema, delinque e commette attività illecite e criminali con la finalità di fare soldi, mentre la camorra – realtà ben più complessa e perniciosa per la società – ha l’obiettivo di governare e perciò di controllare il territorio, facendo patti con la pubblica amministrazione, con i comuni, e con i politici, a livello regionale e nazionale, per mettere le mani sui fondi pubblici, soprattutto attraverso gli appalti. Entrando nei grandi affari economici e nelle opere pubbliche grazie alla politica, la camorra è diventata una vera e propria impresa.
Se c’è un evento simbolico che sancisce l’evoluzione della camorra ad impresa economica e finanziaria, è il terremoto in Campania del 1980: un’alleanza con politici e imprenditori che consentirà alla camorra di mettere le mani sui fondi per la ricostruzione. Seguirà poi la vicenda dello smaltimento dei rifiuti tossici che vedrà coinvolti camorristi, con politici e imprenditori anche di altre regioni italiane. Senza la politica, ha costantemente ricordato Amato Lamberti, la camorra sarebbe rimasta solo e soltanto un’associazione criminale. E ciò emerge in maniera chiarissima anche nel più grande processo giudiziario messo in piedi contro la camorra, il processo denominato Spartacus, che portò alla condanna dei boss del clan dei Casalesi. Scrisse all’epoca Roberto Saviano: “mentre molta parte d’Italia e d’Europa continuerà a pensare che si sta celebrando un processo contro una banda criminale, l’ennesima del sud Italia, in realtà le carte processuali, le audizioni, i più di mille imputati nelle gabbie, parlano di un potere enorme che va considerato una delle avanguardie dell’economia di questo paese (….) soldi per poter lavorare sul territorio e poi cemento per poter costruire, imprese, subappalti. Ecco il loro impero. Lello Magi è il magistrato che ha redatto la motivazione della sentenza di primo grado del processo Spartacus. Nelle sue carte si trovano i grandi affari, i nomi delle aziende – la Bitum Beton, la General Beton, l’Annunziata Calcestruzzi. I maggiori investimenti pubblici sono stati realizzati dalle imprese del clan dei casalesi. E tutto emerge in questo processo. Dalla realizzazione di numerose infrastrutture stradali come la Nola-Villa Literno, il raccordo con, l’autostrada A1 Roma-Napoli, e persino il carcere di Santa Maria Capua Vetere. I casalesi hanno costruito il carcere con le loro imprese. Carcere che avrebbe poi raccolto soprattutto i loro affiliati. Quando il commissario straordinario di Governo inizia a progettare l’esecuzione dell’ arteria Roma-Napoli, la spesa iniziale è di settanta miliardi di lire. Il costo effettivo, dopo cinque anni di lavoro, sarà di duecentoquaranta miliardi. Le imprese che in subappalto lavorano a quest’arteria sono del clan dei casalesi e le imprese che non lo sono per lavorare pagano una tangente al clan. Così con questo meccanismo di drenaggio di soldi pubblici e con il meccanismo delle estorsioni, le loro imprese edili, i loro alberghi, le loro aziende di trasporto diventano le migliori d’Italia e i loro broker investono e costruiscono in tutto il mondo”. (R. Saviano, La Repubblica, 18.6.2008).
Lo schema interpretativo di Amato Lamberti individua tre dimensioni organizzative della camorra, che descriverà come «livello predatorio», «livello parassitario», «livello simbiotico» (A. Lamberti, Quaderni di sociologia, 50/2009). C’è un livello “predatorio” della camorra, tipico delle organizzazioni criminali, che minaccia, ricatta, usa violenza, per “vendere protezione”, al fine di realizzare un’attività di estorsione. Quindi si passa al livello «parassitario», che è quello dell’impresa illegale e criminale, che fa produzione e commercio di beni e servizi illeciti, che produce e/o vende sul mercato servizi illegali: di questo livello fanno parte il contrabbando di sigarette, lo sfruttamento della prostituzione, lo spaccio di droga, il lotto clandestino, le schede “pezzottate” per decoder televisivi, la riproduzione di Cd e Dvd falsi, ecc.: un mercato parallelo a quello legale che offre prodotti e servizi a prezzi più bassi. Infine, argomenta Lamberti, c’è un livello che si può definire «simbiotico», in quanto l’organizzazione camorristica si scioglie nella società: c’è una crescita delle imprese che passa attraverso il rapporto con la politica. Al riguardo Amato Lamberti amava fare un esempio per spiegare come funzionasse tale meccanismo, e citava la Parmalat, che a suo tempo affidando a Michele Zagaria, famoso capoclan della camorra, la rappresentanza dei suoi prodotti, fece un grosso salto nelle vendite: tale ampliamento del mercato della Parmalat avvenne proprio grazie alla capacità di controllo del territorio e di pressione sui commercianti della zona che il capoclan era in grado di fare. A questo livello, dunque, la camorra si scioglie “nel tessuto economico e imprenditoriale del territorio dando vita, soprattutto attraverso partecipazioni societarie, ad imprese che forniscono prodotti legali con modalità spesso solo apparentemente legali, in quanto, anche quando vorrebbero essere pienamente legali non possono fare a meno di incorporare quel potenziale di violenza, intimidazione, corruzione che ne accompagna la nascita (…). Nel settore dell’edilizia, ad esempio, molte imprese, regolarmente registrate alle Camere di Commercio, da un lato partecipano a gare per appalti pubblici, dall’altro costruiscono abusivamente lottizzazioni anche di una certa importanza. Continuano, cioé, ad essere presenti sia sul mercato legale sia su quello illegale”. (A. Lamberti, Quaderni di sociologia, 50/2009).
Un fenomeno di questa portata e così pervasivo, ha ovviamente bisogno di una serie di condizioni favorevoli per svilupparsi. Lamberti le chiamava “facilitazioni” (Lamberti A., 1983, Materiali per… ), e sono quelle che derivano innanzitutto da un contesto ambientale segnato dalla disgregazione sociale e dalla precarizzazione della vita, soprattutto delle giovani generazioni, che amplia lo spazio di consenso e di manovra della camorra capace di offrire lavoro e assistenza. Un contesto, secondo Lamberti, attraversato da una diffusa subcultura deviante: “numerosi sono ormai i segnali che indicano come la subcultura deviante, con i suoi valori, le sue aspettative, i suoi orientamenti sulla società e sui processi di interazione sociale, si vada diffondendo nel contesto napoletano, fino ad interessare anche fasce sociali che, per cultura, tradizioni e condizioni di vita, ne erano estranee”. Inoltre, facilitazioni vengono dall’accresciuta competizione tra i clan, grazie alla commistione tra affari, camorra e politica: l’obiettivo di primeggiare ha prodotto anche l’aumento delle attività estorsive che – scrive Lamberti – “si configurano come un vero e proprio prelievo fiscale finalizzato alla sicurezza individuale, che rende visibile il sostanziale esautoramento dello Stato rispetto ad un suo diritto (il prelievo fiscale) e a un suo dovere (la sicurezza dei cittadini)”, (Lamberti A., 1983, Materiali per… ).
Un’eredità da non dispendere perché metodologicamente ricca. Lamberti, uomo gentile, ha lasciato inoltre a chi l’ha incontrato anche un bel ricordo personale, con il suo stile rigoroso, sobrio, generoso
Infine, un’altra facilitazione per la camorra vive con l’ampliamento del mercato della droga che allarga la rete della manovalanza e insieme promette percorsi di successo e di guadagni, rinforzando la subcultura deviante. Lamberti, va ricordato, ha dedicato una parte importante dei suoi studi sulla camorra alla questione droga, da lui considerata il fattore di ripresa, riorganizzazione e ristrutturazione delle mafie negli anni Ottanta. Al riguardo, dando luogo a un’iniziativa sui generis e coraggiosissima, pubblica una straordinaria inchiesta con l’Osservatorio sulla camorra (curata da Fabrizio Feo) dal titolo Persone e luoghi della droga a Napoli. Nell’introduzione, Lamberti scrive: “in pratica, la droga permette al camorrista l’accumulazione primitiva. E’ con la droga che il camorrista diventa imprenditore, finanziere, proprietario di rendite immobiliari, operatore di borsa. Può farlo anche con altri mezzi criminali, ma mai così velocemente”.
Dagli anni Ottanta ad oggi molte cose sono cambiate, e se la camorra ha subito durissimi colpi lo si deve anche ad un salto culturale delle organizzazioni della società civile, ma anche della magistratura e delle forze dell’ordine che hanno attinto all’elaborazione e agli studi di uomini come Amato lamberti, che ha modificato l’approccio ad un fenomeno troppo spesso derubricato superficialmente o cinicamente a questione giudiziaria e di ordine pubblico. E la conferma viene proprio da quei territori che ricomponendo progettualmente e in una cultura intersoggettiva delle relazioni (non più nepotistica e violenta), le dimensioni culturale, sociale, economica e politica delle comunità locali (penso a ciò che di straordinario è avvenuto a Casal di Principe solo per fare un esempio, ma le storie belle di rinascita civile sono moltissime), e giovandosi della azione decisiva quanto coraggiosa della magistratura e delle forze dell’ordine, hanno contestualmente tolto consenso e rappresentanza alla camorra e indicato con i fatti uno sviluppo alternativo, fondato sul cambiamento del linguaggio, sulla trasparenza in politica, sull’espansione dell’economia civile e sul welfare relazionale.
Amato Lamberti ha dato un contributo notevolissimo, unico, per certi versi fondativo, alla crescita di un approccio interdisciplinare e integrato al fenomeno camorristico, e proposto una lettura non conformista e non stereotipata della camorra contemporanea. Un’eredità da non dispendere perché metodologicamente ricca. Lamberti, uomo gentile, ha lasciato inoltre a chi l’ha incontrato anche un bel ricordo personale, con il suo stile rigoroso, sobrio, generoso. In politica è stato coerente e deciso, facendo scelte controcorrente, nette e in trasparenza, quando ha rivestito le importanti cariche di Assessore alla Normalità al comune di Napoli e di Presidente della Provincia, dimostrando che tra ricerca culturale, professione, impegno politico e esempio personale non ci può essere separatezza.
“Per liberare Napoli dai lazzaroni non bastano, anche se sono necessari, poliziotti, carabinieri e magistrati – scriverà nel libro Lazzaroni, Napoli sono anche loro, edito da Graus Edizioni – I lazzaroni sono i delinquenti, i disgraziati, i mascalzoni, i farabutti, le canaglie, i furfanti, i manigoldi, i lestofanti, i gaglioffi, i filibustieri; ma, anche, gli usurai, gli scippatori, i rapinatori, i borseggiatori, i contrabbandieri, i taccheggiatori, i falsari, i ladri d’auto, i topi d’appartamento, i “paccottisti”, i tangentisti, i truffatori e, infine, i peggiori di tutti, i camorristi (…) C’è bisogno di politiche di inclusione, seriamente intese, ben diverse dalle operazioni di assistenza o, peggio, di ammortizzazione sociale, magari a favore dei più violenti e facinorosi. Per trovare soluzioni adeguate, bisogna partire dal dato, irremovibile con artifici dialettici, di una spaccatura e di una separazione profonda nella popolazione napoletana tra chi è dentro e chi è fuori dalla società moderna e civile. Perché il problema di Napoli è quello di portare dentro la modernità tutti coloro che stanno fuori per una sorta di condanna che i responsabili continuano a negare, mentre continuano a comminarla”.