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La trasformazione digitale è imprescindibile per entrare nella nuova era dell’intangibile, superando i limiti alla crescita del modello industriale classico

Autore

Roberto Sagri
Fondatore e Amministratore Delegato di Eurotech Spa (www.eurotech.com) l’azienda, insediata ad Amaro e con sedi operative in Europa, Nord America e Giappone, si occupa di progettazione e realizzazione di computer a basso consumo ed ad alte prestazioni e di piattaforme software per Internet delle cose per semplificare la trasformazione digitale delle imprese e l’adozione di nuovi modelli di business. Laureato in Fisica all’Università degli Studi di Trieste, vanta una trentennale esperienza nel settore dell’ICT e nella digitalizzazione dei processi manifatturieri. È stato tra i fondatori di Eurotech, che ha guidato nel percorso di crescita, da Startup incubata, alla quotazione alla Borsa di Milano e nel percorso di espansione internazionale tramite crescite esterne con acquisizioni. Si è dedicandosi con enfasi, quale Amministratore Delegato, ai temi dell’internazionalizzazione e dell’innovazione tecnologico e dei nuovi modelli di business abilitati dalle tecnologie digitali.

Che cosa cambia quando abbiamo nello spazio cibernetico una copia esatta del mondo reale, ossia quando abbiamo a disposizione il gemello digitale di ogni singolo oggetto fisico? Credo che la risposta più semplice sia: un’umanità migliore con un’economia che cresce in maniera sostenibile 

Quale è l’essenza di questa quarta rivoluzione industriale in atto, pilotata dalla digitalizzazione di tutte le cose? Che cosa cambia quando abbiamo nello spazio cibernetico una copia esatta del mondo reale, ossia quando abbiamo a disposizione il gemello digitale di ogni singolo oggetto fisico? Credo che la risposta più semplice sia: un’umanità migliore con un’economia che cresce in maniera sostenibile. Non altrettanto semplice rispondere alla seconda domanda: come raggiungere concretamente questo obiettivo? Per riuscirci, infatti, bisogna che la tecnologia ci consenta di innovare il modello economico dominante, che così com’è sta raggiungendo i suoi limiti. Ci sono almeno due modi di fare innovazione: fare cose completamente nuove, oppure rifare cose che già esistono ma in maniera più efficiente. Il paradigma di base dell’innovazione durante la prima, la seconda e la terza rivoluzione industriale è stato fondato in larga misura sull’abbattimento dei costi di produzione per un dato livello di prestazioni. Questo modello sembrava inscalfibile e senza apparenti limiti di crescita, fino a quando Aurelio Peccei con il Club di Roma non commissionò il famoso rapporto sui limiti allo sviluppo, che vide la luce nel 1972. Da allora, sul tema e sulle conclusioni del rapporto si è sviluppato un forte dibattito mondiale con sostenitori e oppositori, conclusioni che vedevano nel ventunesimo secolo la fine della crescita con gravi ricadute sociali, ambientali ed economiche. C’è da dire che tecnologie sempre più potenti, che si sono succedute a ritmi mai visti prima, hanno fatto sì che le previsioni finali del rapporto siano sempre state allontanate. Di pari passo però è cresciuta in maniera esponenziale anche la popolazione del pianeta, e questa crescita non è, ad oggi, compensata dallo sviluppo di nuove tecnologie all’interno del modello di produzione industriale. Per provare a cercare una soluzione al problema e non volendoci arrendere alla decrescita, che purtroppo non potrà essere felice, proviamo ancora ad interrogarci sul tema dell’innovazione. Proviamo a spostarci dalla sola innovazione di prodotto e a volgere invece lo sguardo all’innovazione dei modelli socioeconomici. In fin dei conti il modello industriale attuale è il terzo e non sarà l’ultimo. Il primo che l’umanità ha adottato per soddisfare i propri bisogni grazie all’utilizzo di una tecnologia è stato quello dell’agricoltura che andava a soddisfare i bisogni di base, il secondo quello industriale oggi ancora predominante che va a soddisfare i bisogni tangibili. All’ora attuale stiamo entrando nel terzo modello di sviluppo trainato dalla digitalizzazione e che va a soddisfare bisogni intangibili. Dobbiamo sempre anche ricordarci che ogni nuovo modello in realtà potenzia e supera il precedente senza eliminarlo. Ritornando al tema dell’innovazione, potrebbe essere, allora, più interessante adottare un nuovo modo di pensare al prodotto e alla sua vendita che non necessariamente si basi sulla rincorsa del prezzo più basso, ma piuttosto sull’abbassamento della barriera di ingresso alla fruizione del bene, ovvero sul rendere più accessibile la prestazione che il bene consente. Questa evoluzione è oggi resa possibile dalla presenza pervasiva dei calcolatori, perché grazie ad essi disponiamo di una nuova materia prima da utilizzare per innovare, vale a dire i dati e l’informazione in essi contenuta.  Con questa nuova materia, la compressione di massa, energia, spazio e tempo che sta all’origine dell’innovare, ha raggiunto livelli precedentemente impensabili; basti citare gli attuali smartphone, la maggior parte dei quali ha prestazioni di calcolo paragonabili se non anche superiori ai primi supercomputer degli anni ’70. È proprio partendo dai dati e dalla loro abbondanza che troviamo gli elementi per far fare al modello economico un balzo in avanti ed è questa, appunto, la forte possibilità offerta dall’industria 4.0.  

Dobbiamo sempre anche ricordarci che ogni nuovo modello in realtà potenzia e supera il precedente senza eliminarlo. Ritornando al tema dell’innovazione, potrebbe essere, allora, più interessante adottare un nuovo modo di pensare al prodotto e alla sua vendita che non necessariamente si basi sulla rincorsa del prezzo più basso, ma piuttosto sull’abbassamento della barriera di ingresso alla fruizione del bene, ovvero sul rendere più accessibile la prestazione che il bene consente 

Gli effetti a breve della trasformazione in atto saranno di tipo incrementale, ma già nel medio e poi nel lungo periodo il cambiamento sarà radicale e porterà all’economia del risultato. La maggior parte dei prodotti, se non tutti, dovranno trasformarsi in servizio, ovvero la servitizzazione di tutte le cose. In una situazione tradizionale il bene viene posseduto esclusivamente ed indipendentemente dal suo effettivo utilizzo; ad esempio un’automobile viene normalmente acquistata anche se ne si fruisce solo per una frazione minima di tempo, meno del 5% del tempo di possesso. L’auto è un caso tipico di come un modello di servizio o d’uso potrebbe migliorare la vita a tutti riducendo tempi morti per trovare parcheggio, inquinamento, sprechi di materia ed energia. Ci sono anche aspetti squisitamente antropologici che porteranno a questo cambio di modello, basti guardare al comportamento delle nuove generazioni, nelle quali già si nota come le ragioni che spingono al possesso del bene si stiano indebolendo fin quasi a scomparire. Nel momento in cui tecnologie, atteggiamenti e bisogni si allineano, ecco che avviene il cambiamento. Quanto prima le imprese inizieranno a rendersi conto di essere aziende di dati e di software, tanto prima riusciranno ad anticipare la nuova economia nascente, un’economia che non sostituisce il prodotto ma che ne cambia solo la definizione di valore. Il valore da attribuire ad un bene non sarà più legato al suo possesso ma al suo valore d’uso, sarà basato sul risultato o sul servizio che il bene fornisce per il tempo richiesto.  Questa è la grande innovazione che l’era del digitale ci sta offrendo: oltre a consentire alle imprese di fare più profitti, garantirà più occupazione con un miglioramento generalizzato del benessere e un ridottissimo impatto ambientale. Tutta la magia sta nella riduzione drastica degli sprechi consentita da un modello economico basato sul risultato, che eliminando il passaggio di proprietà dei beni porta in automatico all’economia circolare. Ed è proprio all’economia circolare che dobbiamo aspirare, non per seguire la moda di salvare il pianeta, ma consapevoli che essa porterà al contempo profitti per le imprese e benessere sociale.  

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