Elogio del limite

Autore

Emanuela Fellin
Emanuela Fellin, pedagogista clinica, svolge la sua attività professionale, di studio, ricerca e consulenza per lo sviluppo individuale, sia con l’infanzia e l’adolescenza, che con gli adulti. Si occupa di interventi con i gruppi e le organizzazioni per la formazione e lo sviluppo dell’apprendimento e della motivazione. L’impegno di studio e applicazione è rivolto agli interventi nei contesti critici dell’educazione contemporanea, sia istituzionali che scolastici. Le tematiche principali di interesse vertono sui concetti di vivibilità, ambiente, cura e apprendimento. I metodi utilizzati sono quelli propri della ricerca-intervento e della consulenza al ruolo per lo sviluppo individuale e il sostegno alle dinamiche dei gruppi e delle organizzazioni.

di Emanuela Fellin e Ugo Morelli

Il miglior modo per riconoscere il valore del limite come condizione di ogni possibilità è forse la valorizzazione del potere generativo dell’incertezza, andando oltre la nostra propensione a negarla 

“Venisse, 
venisse un uomo,
venisse un uomo al mondo, oggi, con la barba di luce dei 
patriarchi: potrebbe, 
se parlasse di questo 
tempo, lui 
potrebbe 
solo balbettare e balbettare”.  

I versi di Paul Celan, da Die Gedichte, neue kommentierte Ausgabe, Suhrkamp, Berlin 2020, risuonano della difficoltà di narrare il presente, di dirlo e, in particolare, di dire e narrare il cambiamento necessario. Non abbiamo le parole per dire quello che non vogliamo e non dovremmo voler essere; né, a maggior ragione, abbiamo quelle per dire cosa vorremmo essere. Balbettiamo, a volte attoniti, molto spesso, quasi sempre, accecati e convinti da un presente che perseveriamo a ritenere irrinunciabile e immodificabile; balbettiamo di cambiamento necessario e intanto inventiamo “pannicielli caldi” con i quali vorremmo risolvere la febbre mortale che infliggiamo al pianeta e, quindi, a noi stessi. Ma di questo secondo effetto non ci rendiamo e non ci volgiamo in alcun modo rendere conto. Se non con verbose manifestazioni tanto esecranti e contrite quanto vuote di azioni effettive. Siamo diventati, come specie homo sapiens, i virus per il resto del sistema vivente del pianeta. E si sa, nel momento in cui il virus distrugge le entità che infetta finisce per esaurire le possibilità di riprodursi. Ecco: la sostenibilità è proprio l’attenzione elementare a utilizzare le risorse in modo da salvaguardarne e garantirne la riproducibilità
Per comprendere qualcosa di più di dove siamo dobbiamo riportare l’orologio indietro, all’inizio del nostro cammino come specie umana. 
Si chiamerà Ngaren e sarà disegnato da Daniel Libeskind il Museo dell’Umanità che sorgerà a Loodariak, in Kenia, a circa sessanta chilometri da Nairobi, nella Great Rift Valley, dove è stato scoperto il Turkana Boy, lo scheletro di un ragazzo morto quando aveva circa dieci anni, risalente a circa 1,6 milioni di anni fa. La supervisione tecnica sarà di Richard Leakey, il paleoantropologo a cui dobbiamo una parte importante delle scoperte e delle conoscenze di cui disponiamo sulla nostra storia. L’obiettivo della nascita del Museum of HumanKind è divenire il riferimento per gli studi riguardanti temi importanti per la salvaguardia e per il futuro del pianeta. Leakey parla di una “chiamata all’azione” per far fronte ai problemi globali e controversi in cui ci siamo immersi. 

Ngaren, Studio Libeskind

Oltre e forse prima di salvaguardare il pianeta, noi dovremmo cercare di salvaguardarci da noi stessi. Dalle nostre pur rispettabili difese e resistenze a cambiare idee e comportamenti, nonostante le evidenze che abbiamo sotto gli occhi ormai tutti i giorni. 

Nel guardare una fotografia di Miguel Medina sulle operazioni per stendere i teli geotessili sul ghiacciaio Presena, al confine tra il Trentino Alto Adige e la Lombardia, ho provato un brivido di paura. Mi sono chiesto se sono solo, nel vivere questo sentimento durissimo, e se la cosa è già divenuta normale per la maggior parte di noi. Esiste oggi una nuova forza naturale che modifica la Terra, e siamo noi, il genere umano, la cosiddetta “specie saggia”. Solo un quarto di secolo fa sono stato in quei posti e ne ho scoperto l’integra meraviglia e la funzione ecologica, cioè come e quanto erano e sono importanti per la nostra vita. Siamo finiti rapidamente in un cambiamento globale che non è solo un cambiamento climatico. Parlando di cambiamento globale possiamo evitare di trattare l’ambiente come qualcosa di separato dalle vicende umane. Tutto quello che facciamo crea l’ambiente nel quale viviamo. Abbiamo sempre influito sul mondo che ci circonda, ma ora condizioniamo e trasformiamo in modo predominante l’ambiente da cui deriva la nostra stessa vita. I teli sul ghiacciaio Presena vengono montati regolarmente dal 2008 e servono a proteggere il ghiaccio che resta dai raggi solari. Dal 1993 si calcola che il ghiacciaio abbia perso circa un terzo del suo ghiaccio. Proteggerlo con quella soluzione costa circa trecentomila euro all’anno. Il cambiamento che cerchiamo in tutti i modi di rimuovere e di negare ci mette di fronte a una verità di particolare impegno: sono finite le condizioni eccezionalmente stabili iniziate circa diecimila anni fa, quando si affermò l’agricoltura, con tutti gli sviluppi successivi. In quegli sviluppi complessi la nostra specie non ha avuta la misura. Ce ne accorgiamo ora. La misura avrebbe dovuto essere quella del limite e della sostenibilità. Poche immagini sono più esplicite di quella fotografia che, tra l’altro, ci permette di fare un semplice esperimento mentale. Possiamo, infatti, chiederci quale preoccupazione ci viene in mente per prima: quella per l’economia turistica, per l’innevamento e per lo sci da discesa, o quella per l’acqua e la sua importanza vitale? Qui la questione non è se l’economia e il turismo sono importanti. È ovvio che lo sono. Mentre però l’economia è un fenomeno storico e le forme del turismo possono mutare e essere innovate – e bisognerebbe chiedersi perché la mentalità di chi dovrebbe innovare è così in ritardo – l’acqua è condizione della vita stessa, per noi e per tutto il sistema vivente. Quasi ogni creatura vivente, animale e vegetale è danneggiata oggi dalle azioni umane. Ne abbiamo una prova evidente e non falsificabile. Noi, in più, danneggiamo noi stessi e anche di questo abbiamo le prove. Siamo la specie che non solo sa, ma sa di sapere e possiamo ripensare i nostri modi di fare, agendo in tempo. 

La sostenibilità è proprio l’attenzione elementare a utilizzare le risorse in modo da salvaguardarne e garantirne la riproducibilità 

Per cercare di cambiare salvaguardandoci da noi stessi e, cioè, elaborando le nostre manifestazioni ed espressioni più critiche, una delle condizioni e fare i conti con l’incertezza e imparare ad imparare da essa. 

Abbiamo alle spalle e davanti a noi almeno sei ere che ci hanno visto fare i conti con l’incertezza. Fin da quando abbiamo cercato di estrarre qualche seppur minima regolarità nel caos del mondo per tentare di rassicurarci, sino ai nostri giorni. Nella fase arcaica abbiamo cercato di controllare l’incertezza con spiegazioni religiose dei fenomeni, adottando pratiche divinatorie come quelle dei babilonesi, per fare un esempio, che cercavano di leggere le dinamiche incerte col fegato di pecora. Non abbiamo certo dismesso pratiche simili. Semmai si sono moltiplicate e convivono oggi con altre modalità. Si è aggiunta alle pratiche divinatorie l’era delle deduzioni logiche e delle prove empiriche e l’incertezza è stata vista principalmente come un’ignoranza temporanea. È arrivata poi l’era della probabilità statistica degli eventi, ma l’incertezza non si è mai lasciata ridurre e ingabbiare, per una semplice ragione, che è costitutiva e non occasionale. 

Successivamente siamo finiti nella convivenza tra meccanica quantistica, che vede nel livello sub-atomico della materia un nocciolo di causalità irriducibile, e teorie del caos, che trovano regolarità impreviste nelle dinamiche non lineari. Oggi l’incertezza continua la sua funzione e la sua presenza tra la casualità quantistica e le due contestazioni e confutazioni, da un lato, e l’impiego statistico-tecnologico di sequenze numeriche aleatorie in tanti campi della nostra vita. Se troviamo meno caos di quanto ci aspetteremmo, allo stesso tempo riconosciamo non solo la presenza costante dell’incertezza ma anche la sua importanza e utilità per ogni cambiamento e innovazione. 

Il miglior modo per riconoscere il valore del limite come condizione di ogni possibilità è forse la valorizzazione del potere generativo dell’incertezza, andando oltre la nostra propensione a negarla. 

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