I nuovi processi formativi dovrebbero farci bene dentro, aiutarci a trovare conoscenza utile a vivere meglio nei contesti di lavoro, permetterci di affrontare nuove sfide professionali e di vita
In un mondo che deve fare i conti con il coronavirus e con la domanda di quale futuro potremo vivere, le ipotesi che abbiamo sotto gli occhi non sembrano mettere la persona al centro del mondo di domani. Alcune voci, sempre rare, rimettono al posto giusto la necessità di permettere a tutti noi di avere uno spazio nuovo, poco definito, regolato dalla capacità di muoversi nel nostro mondo, personale e professionale, esprimendo quelle dimensioni che ci caratterizzano.
Sarà un futuro libero per le persone?
Paolo Fresu ci racconta in una delle sue poesie: il jazz siamo noi, è la musica della libertà. Perché non solo ci rende liberi ma fa bene dentro così che si possa vivere meglio fuori.
I nuovi processi formativi dovrebbero farci bene dentro, aiutarci a trovare conoscenza utile a vivere meglio nei contesti di lavoro, permetterci di affrontare nuove sfide professionali e di vita.
Molte volte ci chiediamo se ciò che consideriamo coerente con gli obiettivi della formazione sia davvero sufficiente per avere un futuro possibile: l’esercizio del pensiero critico, l’attitudine alla risoluzione dei problemi, la creatività e la disponibilità positiva nei confronti del cambiamento e dell’innovazione, la capacità di comunicare in modo efficace, l’apertura alla collaborazione e al lavoro di gruppo, sono alcune delle competenze che il lavoro organizzato ci chiede di sviluppare. La domanda rimane: è sufficiente?
Se pensiamo al futuro una cosa è certa: il futuro ci sarà, non è una nostra scelta.
Sarà quello che riusciremo a preparare e l’immaginazione è la risorsa principale che abbiamo per preparare l’avvenire.
I contesti di lavoro non sempre sono costruiti per dare spazio alla capacità immaginativa, una delle caratteristiche fondanti dell’essere umano; si è ormai sviluppata l’idea che l’immaginazione si possa imparare e se allenata bene possa dare risposte a ciò che non c’è ancora e ciò che ancora non siamo.
E’ per questo motivo che la formazione dovrebbe avere al centro l’obiettivo di aiutare a trovare soluzioni inedite, ipotesi che oggi si possono solo immaginare.
Se pensiamo al futuro una cosa è certa: il futuro ci sarà, non è una nostra scelta.
Nell’era dello smart working, della sharing economy che entra prepotentemente nelle organizzazioni spesso impreparate, e dell’utilizzo cosciente di nuovi canali di comunicazione, è utile una riflessione su quali apprendimenti più coerenti rispetto alla riflessione individuale sul saper vivere la nuova complessità di un domani sospeso tra l’efficientamento assoluto di ogni processo e la ricerca di soluzioni inedite orientate alla sostenibilità delle nostre azioni.
Cosa osserviamo nelle organizzazioni?
E’ sempre più evidente una sorta di scissione fra le persone in formazione e le persone al lavoro nell’organizzazione, cosicché alle volte la formazione non è considerata un tempo di lavoro, ma una sorta di pausa, o addirittura di intrattenimento e divagazione.
Tutti noi sappiamo che gli apprendimenti più importanti non si sviluppano assorbendo tecnicismi somministrati con ricette risolutorie, adatte a tutte le situazioni, ma attraverso rielaborazioni personali e collettive di azioni che richiedono riflessione. E tutto questo deve, quindi, fare i conti con la responsabilità individuale, con la possibilità di attivare un’energia emozionale che cresca e si rinnovi, che aggiunga senso e significato allo sforzo formativo.
La formazione dovrebbe avere al centro l’obiettivo di aiutare a trovare soluzioni inedite, ipotesi che oggi si possono solo immaginare
E quindi quale formazione?
I riferimenti potrebbero essere molti, proviamoci con Sennett: l’esigenza di conciliare pensiero e azione attraverso il fare. Ci troviamo di fronte ad un animale relazionale che apprende attraverso una riflessione sulla sua azione, coinvolgendo tutte quelle dimensioni che ci definiscono: emotiva, cognitiva, relazionale.
Dobbiamo permetterci uno spazio creativo che ci permetta, operando nella nostra vita quotidiana, di vedere in anticipo cosa ci potrà aspettare, consapevoli che siamo parte di quella co-costruzione del nostro domani.
Tra incertezze e dubbi forse la capacità negativa potrebbe darci una mano, ma dobbiamo ancora una volta ammettere a noi stessi di non essere in grado di agire da soli, di dover rimettere al centro della formazione quei processi cooperativi che ci potrebbero aiutare a superare questa fase socialmente disorientata e disorientante.
Se pensiamo che le utopie possano essere definite come un progetto che non è possibile tradurre in pratica, rimanendo quindi sogno o fantasia, nel caso della formazione non tutto è perduto. La ripartenza verso il futuro presenta oggi spazi possibili e studi e ricerca sofisticati, utili a integrare digital transformation con robuste riflessioni teoriche indispensabili a mantenere la centralità del pensiero evolutivo.