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Intervista a Mr. Marker

Autore

Alfredo Carlo
Nato a Bruxelles nel 1975, Alfredo cresce a Roma, studia a Bologna e lavora da sempre in giro per il mondo. Fondatore di Housatonic e partner di Matter Group, da 20 anni lavora come designer e facilitatore grafico per aiutare le organizzazioni a comunicare, collaborare e lavorare meglio e avere, in questo modo, un impatto sul mondo che ci circonda.

Da vent’anni Alfredo Carlo si occupa di processi di facilitazione grafica per aiutare gruppi, aziende e organizzazione a formulare pensieri, capirsi e convergere in una direzione. C’è uno strumento semplice e comune da cui Alfredo e il resto del team di Housatonic – lo studio che ha fondato a Bologna – raramente si separano: il pennarello. Ne abbiamo intervistato uno, per mettere meglio a fuoco qual è, in fondo, il lavoro di un facilitatore.

Mr. Marker, lei vanta una lunga carriera in campo artistico. Conosciuto da tutti e da tutte senza barriere anagrafiche, è uno degli strumenti più utilizzati per il disegno e la scrittura e uno dei primi che i bambini, fin da piccolissimi, imparano a maneggiare. Ultimamente si è specializzata nell’ambito della facilitazione – e forse uno strumento dall’utilizzo così semplice e intuitivo come lei è il più adatto a questo tipo di ruolo. Prima di chiederle come si è avvicinato a questa specializzazione, potrebbe chiarire che cosa si intende con “facilitazione”, un termine forse non familiare a molti e molte?

Buon giorno, molto piacere. Inizierei col dire che in effetti la mia carriera inizia spesso nelle mani dei bambini, che con un pennarello cominciano a fare la scoperta di quello che è il loro pensiero. Divento un tramite tra la loro immaginazione e un foglio di carta. La mia carriera è stata molto lunga e variegata: dai bambini sono passato ai ragazzi e alle ragazze, fino all’adolescenza – momento in cui le persone si dimenticano un po’ di me – fino a tornare nelle mani dei più adulti. Quando però torno nelle mani degli adulti, spesso vengo utilizzato per delle cose noiose: liste, grafici, dati, mentre in realtà sono uno strumento molto interessante per quella che chiamo facilitazione. Questo termine, per me, racchiude la capacità di aiutare le persone a lavorare meglio, di facilitarle, appunto, attraverso ciò che posso fare. Molto spesso vengo utilizzato in contesti di gruppo in cui c’è l’esigenza di convergere in una direzione – per prendere una decisione, per sviluppare un progetto o per definire una strategia o un’identità del gruppo stesso –, che però viene ostacolata da frizioni o divergenze di pensiero e di comunicazione. Chi mi usa può esprimere le proprie idee e condividerle con altri, soprattutto se, anziché tenere tutto su un foglio di carta, mi utilizzano su una lavagna o una grande superficie, in modo che tutti riescano a vederle. Sembra una banalità, ma il fatto che in un gruppo di persone tutti e tutte siano portati a vedere, a visualizzare un’unica idea su un unico supporto, è già un passo verso la comprensione reciproca. Inoltre, se usato sulla superficie giusta sono cancellabile, il che significa che le persone possono cambiare idea e svilupparla insieme agli altri. Se dovessi sintetizzare, direi che la facilitazione è la possibilità di aiutare le persone ad evolvere nel proprio pensiero attraverso la collaborazione con gli altri, riducendo quegli elementi di complessità che diventano ostacoli al raggiungimento di un obiettivo. 

Lei, inoltre, per sua natura si occupa di un settore specifico della facilitazione, che è quello della facilitazione grafica. Da quanto tempo se ne occupa e in che cosa consiste il suo lavoro?

Lavoro in questo settore da una cinquantina d’anni ormai, anche se nel frattempo mi sono evoluto in termini di colori e tipologie di inchiostri. La prima volta che sono stato preso in mano con l’intenzione di facilitare è stato tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, quando una coppia, Matt e Gail Taylor, ha iniziato a intravedere la complessità verso cui il mondo stava andando. Matt è un architetto, Gail una pedagoga, e insieme hanno ideato e sistematizzato una serie di processi e modelli per aiutare le persone a facilitare questa complessità. Mi hanno utilizzato fin dall’inizio su due fronti: sia per aiutare i partecipanti dei loro workshop a scrivere le loro idee, sia (soprattutto) in mano al facilitatore grafico, ovvero la persona che durante questi workshop prende appunti in maniera grafica e in tempo reale per poi restituire ai partecipanti il loro stesso dialogo in forma visiva. Questo è utile perché visualizzare qualcosa lo rende più facile da condividere con gli altri in una fase di sviluppo e cambiamento. Il disegno aiuta tantissimo non solo ad appuntare le parole, ma anche a memorizzare meglio un discorso, un concetto, e quindi a capirlo meglio.

Ci sta mostrando un’accezione della semplificazione che è piuttosto lontana dalla banalizzazione…

Sì, spesso mi accusano di banalizzare, ma la maggior parte delle volte questa accusa non è giusta. Banalizzare significa togliere significato. Facilitare, invece, significa semplificare, cioè aggiungere un livello di significato, rendendolo però comprensibile per tutti. Banalizzare è ridurre un concetto a qualcosa che perde il suo significato originario, mentre semplificare è comprendere dall’origine un pensiero nel suo significato più profondo e trasformarlo in qualcosa di semplice e memorabile. 


C’è un progetto, o più di uno, di cui si è occupato e che secondo lei condensa e restituisce il senso del processo di cui ci sta parlando?

Come pennarello ormai consumato, ho partecipato a molti progetti. Uno di quelli a cui sono particolarmente legato è stato fatto con Airbus, l’azienda che si occupa di costruire moltissimi degli aeroplani su cui voliamo. È un’azienda enorme divisa in settori che si occupano di creare le diverse parti dell’aereo: c’è quello delle ali, quello della fusoliera, quello della decorazione degli interni, quello del motore e così via. Gli ingegneri che lavorano nei vari settori sono completamente divisi, perché ognuno ha la propria specializzazione e il proprio ambito di progettazione e sviluppo, eppure alla fine ogni aereo deve essere assemblato, serve una visione d’insieme. Quindi ho lavorato tanti anni con loro, sia per aiutarli a rendere più visibile la singola parte progettuale, sia per cercare di aiutarli a mettere insieme tutte le loro idee per fare in modo che i processi di lavoro fossero più efficienti, rapidi e coordinati. Il tutto si è svolto attraverso un lavoro di semplificazione dei loro messaggi, che è passato molto attraverso il mio utilizzo e, quindi, la visualizzazione dei concetti che loro volevano esprimere. Gli ingegneri hanno già una mente molto… non vorrei offenderli, ma tendono a essere abbastanza rigidi nel loro pensiero e a fare un po’ di fatica a esprimere la complessità che hanno in testa – e io sono stato utilizzato tantissime volte per semplificarla, questa complessità. Non va dimenticato che, in quel progetto, io mi trovavo spesso nelle mani del facilitatore grafico, che non è un ingegnere e che quindi aveva bisogno di capire che cosa loro stessero dicendo, e quindi il linguaggio che dovevano utilizzare doveva essere comprensibile anche per lui. Lì ho visto un po’ la magia di questo passaggio e di come le persone, anche quando hanno una propria modalità di visione particolare, come può essere quella dell’ingegnere, quando si avvicinano a una forma di espressione più creativa e di supporto raggiungono livelli di comprensione e di collaborazione molto più profondi.


Crede che uno sguardo attento alla facilitazione possa avere degli effetti anche in campo non necessariamente professionale? 

In ogni campo, ne sono convinto. Altrimenti non farei il pennarello. A parte la battuta, per me facilitazione significa da sempre mettersi a disposizione degli altri sapendo di che tipo di guida hanno bisogno. Ho sempre sentito mio il concetto di servant leadership, una guida che si metter a servizio. Io sono esattamente questo: sono un pennarello, e se non avessi inchiostro dentro non potrei permettere di disegnare, ma sono a disposizione di chi mi prende in mano. So esattamente quello che devo fare, ma metto la mia conoscenza a disposizione di chi vuole utilizzarmi, e divento suo, al suo servizio. Utilizzando questa metafora, potrei dire che facilitare significa proprio questo: mettersi a disposizione degli altri, capire qual è la loro esigenza e creare la migliore piattaforma perché si possano esprimere di fronte ai loro obiettivi ed essere accompagnati nei vari passaggi necessari per raggiungerli. Io non sono altro che uno strumento che mette crea un ambiente adatto e corretto per fare tutto questo. 

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